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Il libro del mese...

                                                            
 "FIMMINE RIBELLI"
di Lirio ABBATE
Rizzoli Editore - pagg.207  - euro 17.
Recensione di Delia Adriani.
Le donne di Rosarno nate e vissute in famiglie mafiose sono un emblema dell'otto marzo.  Donne a cui viene impedito di portare a compimento gli studi, che devono maritarsi presto perchè il matrimonio è una occasione di arricchimento e protezione: "mio padre ha due cuori, la figlia o l'onore? In questo momento dice che vuole la figlia, ma dentro di lui c'è anche quell'altro fatto".
Donne che vivono il matrimonio in piena solitudine, con i mariti sempre in bilico tra la liberà e la prigionia. Molte di loro accettano e riescono a "modellarsi sul codice" a "coincidere con la parte assegnata"; altre "subiscono a testa china ed a labbra strette, perchè così è stato loro assegnato e perchè ormai hanno perso la forza anche solo di sognare un futuro diverso".
Non è così per Rosa Ferraro e Giusy Pesce, Maria Concetta Cacciola, ed altre, tutte fimmine ribelli, che hanno osato dire di no a padri, fratelli, mariti, producendo l'effetto dirompente di mettere in discussione la compattezza del clan ed i valori del sistema n'drangheta. Queste donne meritano il nostro omaggio.

Libro del mese...L'armata di Grillo...


                                                 
"L'ARMATA DI GRILLO" 
di Matteo Puccialrelli
Edizioni Alegre - pag.128 - 12 euro.
  
È il fenomeno politico del momento, la sua ascesa è stata lenta e molecolare per poi esplodere non appena Silvio Berlusconi è uscito di scena. Su Beppe Grillo si è scritto molto, ma poco si sa degli uomini e delle donne che seguono il comico genovese, ne guidano la comunicazione – come nel caso di Casaleggio –, lo rappresentano nei territori riuscendo perfino a diventarne amministratori, e che presto siederanno a decine in Parlamento.
Analizzando il percorso che ha portato al successo del MoVimento Cinque Stelle, l’autore analizza pregi e limiti del programma e della democrazia interna, indaga il ruolo e i rapporti della Casaleggio Associati e descrive nel dettaglio i più importanti militanti del movimento. Fino a tracciare un diagramma delle correnti interne o delle diverse aspettative delle varie "componenti". Uno strumento essenziale per capire cos’è, e soprattutto cosa diventerà, quella che potrebbe divenire una delle più importanti forze politiche del Paese.
"Sembra quasi un mondo magico, quello a Cinque Stelle. Tutto così pulito e disinteressato da apparire perfetto. “Noi siamo diversi”, ripetono ovunque i militanti e gli iscritti del partito. Che, come rivelato dal blog di Grillo nell’aprile 2012, sono 200mila. Una cifra enorme. Orgoglio legittimo, ma anche cieco. Perché dentro il movimento esiste una gigantesca contraddizione. Peraltro evidente."
ilmegafonoquotidiano.it

LIBRO DEL MESE... "L'itinerante di K'hell - Imar"...



 

 Il libro del mese
"L'itinerante di K'hell - Imar"
di Silvio BONISOLO
 DrawUp edizioni, 2012 - 416 pagine euro 17,90.
QUESTO LIBRO SARA' PRESENTATO A CHIVASSO A CURA DEL CENTRO PAOLO OTELLI, NELL'AMBITO DELLA RASSEGNA "INCONTRA UN LIBRO-INCONTRA UN AUTORE", GIOVEDI' 6 DICEMBRE DALLE ORE 21, PRESSO LA SALA CONSILIARE (MUNICIPIO). INGRESSO LIBERO.
K'hell-Imar è un pianeta della Periferia Galattica, quasi sommerso da una selva impenetrabile che cresce fra le acque di una palude oceanica, popolata da terrificanti predatori. Per sopravvivere a questo spaventoso habitat, gli indigeni si aggrappano a credenze consolatorie, reiterando le stesse immutabili consuetudini. Nel villaggio di Ghul'ì-Po, in una famiglia osservante della Tradizione, nasce Athon. Molto presto l'insolito ragazzino manifesta chiari segni d'intolleranza nei confronti del torpore intellettuale dei consanguinei e delle loro superstizioni. Quest'insofferenza lo spingerà ad arruolarsi in una pericolosa spedizione di minatori spaziali. Ha così inizio un'imprevedibile odissea, che nel mezzo di una rivoluzione interplanetaria lo trasformerà, suo malgrado, in una sorta di leggenda vivente. Un eroe triste, che pagherà il trionfo dei propri ideali col sacrificio di tutti i legami affettivi, compreso l'amore di una donna fuori dal comune...
L'Autore: Silvio Bonisolo è nato il 10 Gennaio 1965 a Torrazza Piemonte, piccolo centro della provincia di Torino, dove tuttora risiede.
Sin da bambino manifesta una particolare attrazione verso il mon- do delle lettere e gli studi umanistici, fino al conseguimento della maturità classica nel 1984. Assecondando la passione per i pro- blemi sociali del mondo moderno, si iscrive quindi alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino, periodo durante il quale elabora l’idea embrionale attorno alla quale si svilupperà succes- sivamente L’itinerante di K’hell-Imar.
Nel 1993, assieme ad un gruppo di amici della zona, partecipa al- la fondazione di un centro di studi filosofici con sede in Torino, del quale è segretario, che considera un momento di grande impor- tanza nel suo processo di formazione personale.
Sposato, attualmente lavora come impiegato amministrativo in una ASL del Torinese e, oltre a quelli già citati, coltiva diversi inte- ressi: in modo particolare, la pittura e la musica.


Libro del mese


                                                       
                   
"CHI COMANDA TORINO"
di Maurizio PAGLIASSOTTI
Castelvecchi Editore (collana RX)
pagg.192  -  euro 14,90.
Recensione a cura di Gaetano FARINA
                                          
Ai torinesi le Olimpiadi Invernali del 2006 sono state vendute come un'opportunità irrinunciabile per la rigenerazione del tessuto sociale ed economico. A più di cinque anni da quell'evento, però, Torino si ritrova comune più indebitato d'Italia: i piani di "riqualificazione" e le strutture olimpiche sono state pagati solo in parte da Stato e privati; non sapendo come riutilizzarle, la maggior parte delle nuove strutture destinate alle discipline sportive (specialmente i siti e gli alberghi di montagna) sono rimaste un "costo" tanto che per alcune si ipotizza già lo smantellamento; troppi locali, in primis il "villaggio degli atleti" che sta letteralmente cadendo a pezzi, sono rimasti inutilizzati, mentre centinaia di costosissimi "addobbi" olimpici sono divorati dalla ruggine nei magazzini comunali. Gli amministratori attuali e quelli che hanno promosso e gestito l'evento possono controbattere che è ancora presto per stilare un bilancio finale. Eppure, l'accumulazione di debiti sempre più onerosi non può lasciare indifferente la cittadinanza, specialmente le nuove generazioni che, insieme a figli, nipoti e pronipoti, saranno costretti ad accollarseli. Nel frattempo, l'amministrazione comunale prova a far cassa vendendo ai privati immobili di prestigio e, soprattutto, fette di territorio potenzialmente edificabile tanto che, nei prossimi vent'anni, la popolazione sarà travolta da una valanga di cemento? Maurizio Pagliassotti, giornalista "in mobilità" di Liberazione, fa proprio il punto della drammatica situazione torinese nel suo nuovo libro Chi Comanda Torino che fa parte di una neonata collana di Castelvecchi con lo scopo di indagare i centri di potere delle maggiori città italiane.
da: ibs.it

Il libro del mese di giugno



 
Il libro del mese
«Non solo un treno...»
di Livio Pepino e Marco Revelli.
320 pagine - 12 euro
Edizioni Gruppo Abele.

Recensione di Guglielmo Ragozzino


Una cronistoria lunga venti anni. Dalle prime scelte della Fiat di Agnelli al governo tecnico
«Non solo un treno...» è il titolo del volume di Livio Pepino e Marco Revelli per la collana i Ricci delle Edizioni Abele. Un breve sommario spiega, per il pubblico distratto, che l'argomento trascende il treno.È infatti «la democrazia alla prova della Val Susa». Sventola in copertina una bandiera: No Tav: è il segno più conosciuto della lotta che continua.
I testi dei due autori, il giurista e lo scienziato politico, sono molto utili e si completano bene. Pepino scrive del diritto negato, modificato, dimenticato, abusato per fare trionfare gli affari e il fatto compiuto. L'obiettivo vero è quello di cancellare i beni comuni - aria, acqua, montagna, territorio, salute, libertà, per privatizzarli e recintarli, venderli se del caso, escludendo la popolazione per sempre e chiedendo un pedaggio per i diritti di sempre e di tutti, in passato gratuiti o collettivi. Ritorna su una serie di eventi in cui il Governo, il Prefetto, la Regione, le Polizie, tutti i poteri insomma, hanno preteso di mettere a tacere la Valle con leggi e decreti; hanno applicato regolamenti capziosi e fuori contesto per fare prima e spegnere fiammelle di autonomia; ma anche la Valle conosceva le leggi o ha imparato a conoscerle bene e se ne è saputa servire, con i suoi avvocati ed esperti, per difendersi e perfino in alcuni casi attaccare. E vai con il Tar, il Consiglio di stato, i tribunali amministrativi....
Revelli invece ricostruisce la storia e le passioni, gli errori e gli imbrogli, la cultura tecnica e scientifica dei valligiani e l'ignoranza preconcetta o meglio la malafede di chi li assedia, in un lungo scontro economico e sociale tra uomini e donne della Valle e chi vuole impadronirsene per speculare e per comandare. Vent'anni di storia patria, di federalismo e e di accentramento. Da un lato c'è l'ardente necessità di fare l'opera, assorbire e rifondare la natura dei luoghi, sfruttare il desiderio delle persone di guadagnarsi la vita in tempi stentati, spezzare la solidarietà: corrompere e distribuire compensi. Le affermazioni di volontà e potere sono sempre apodittiche e senza spiegazioni, senza cifre attendibili e provate. La più tipica, riassuntiva è «L'Europa lo vuole, non vorrete per un puntiglio stupido restarne fuori...E poi i traffici, la modernità...».
Nel corso degli anni avviene che si passa senza un filo di vergogna dall'alta velocità all'alta capacità, si cambiano percorsi, si riduce e si stira il progetto, nuovi tunnel sostituiscono quelli malpensati, si affida la realizzazione ad altri gruppi d'intervento e ad altri ancora, si stravolgono le ricerche su amianto e uranio presenti nelle sfortunate montagne: tutto è sempre in vista del risultato decisivo: moralizzare il paese, dimostrare che è all'altezza e non è possibile che una tribù di montagna abbia la meglio sul meglio del paese. Revelli descrive tutto, spiega tutto, si interroga e risponde. C'è più ironia che invettiva nel suo procedere. Esso offre l'impianto più accurato e preciso, insieme all'esame dei diritti che Pepino pone davanti alla sensibilità dei lettori, per chi voglia davvero conoscere i fatti nel loro divenire e le conseguenze davanti a tutti noi. Un manuale di democrazia per chi voglia impararne un po'.
Nel "treno" del Gruppo Abele non c'è però solo questo. Vi è una terza parte con una cronistoria capace di riportare alla mente e al cuore dei lettori lunghi avvenimenti un po' dimenticati. L'inizio della vicenda è una mossa della Fiat nel 1989. Umberto Agnelli che presto lascia il compito a Sergio Pininfarina; e così avanti. Una cronistoria di vent'anni abbondanti. Infine è pubblicato il testo in 14 punti con il quale l'alto Governo dei Tecnici spiega al mondo il perché e il percome del Tav. Nelle pagine di fronte il movimento si diverte - una volta tanto - a rispondere punto su punto, con solo un filo di dileggio.
Con questo forte appoggio di cronistoria e di dibattito - nella cronistoria lunga vent'anni compaiono una ventina di ministri responsabili per l'ambiente o per i trafori e le opere pubbliche e solo due hanno il fiato e il buon senso di applicare la legge e le conoscenze e bloccare la vera e propria frana che tutti gli altri - Governi, Commissioni europee confindustrie - impongono come modernità obbligata. I nomi, le opere, i giorni ci sono tutti: l'attacco frontale o insidioso e la risposta con decine di mobilitazioni di Valle, sempre più compatte e determinate.
Un libro schierato, senza remore bipartisan: di qui le ragioni, tutte ragionevoli, oneste. Di là i torti, tortuosi e privi di sostanza. Per spiegare la moralità della Valle, Pepino richiama in vari passi del suo saggio un'ispirazione alta, quella di Alessandro Manzoni, pensatore politico certamente d'ordine, ma in sostanza uomo giusto. Rilegge nei Promessi sposi i movimenti della folla che fronteggia gli alabardieri davanti al Prestin di scans (Forno delle grucce) durante i tumulti della Milano secentesca alla ricerca del pane (Promessi sposi, capitolo XII) e li usa in tema No Tav. Rilegge la vergogna dell'arbitrio di una giustizia tipo Colonna infame. Revelli usa per spiegare cosa intenda per democrazia un autore che la sinistra per cento anni ha considerato di destra, Alexis de Tocqueville. Trae da La Democrazia in America un passo che dimostra come uno può - deve - potersi difendere dalla maggioranza, che si ritiene democratica solo per il numero, quando ciò che sostiene è vero e giusto. Così per la valle.
Si è ricordato, per finire, il confronto tra le posizioni del Governo Tecnico che per mostrare competenza superiore e apertura ridiscute la faccenda Tav riassumendo il tutto in 14 punti. Il risultato non cambia niente. È una nuova generazione di tecnici che risponde a esigenze di grandi affari e opere finanziarie e non alle condizioni realmente esistenti e alle prospettive ragionevoli. Uno a uno, i punti vengono scardinati dal buon senso e dalle conoscenze di un movimento che ci riflette da venti anni. Anche questo è un modello di discussione che sembrava perduto e che ora è Val Susa riporta in auge. Il suggerimento è che la nostra democrazia possa effettivamente ripartire da lì.

Il libro di febbraio...

                                           
"Gli africani salveranno Rosarno"

di Antonello MANGANO.

Terre Libere edizioni, 8 euro.

                                 

Recensione di Michele Carboni.

“E probabilmente anche l’Italia” è il sottotitolo di un libro interessante e necessario: “Gli africani salveranno Rosarno”, scritto da Antonello Mangano, autore di ricerche, inchieste e saggi sui temi delle migrazioni e della lotta alla mafia e fondatore della casa editrice terrelibere.org. Questa seconda edizione del 2012 integra l’edizione precedente «Perché rispetto alla prima mancano tante vicende (i fatti di Rosarno e le loro conseguenze). Ma soprattutto per provare a correggere un immaginario collettivo profondamente sbagliato»I fatti di Rosarno – la “rivolta” degli africani – sono raccontati e spiegati ai lettori alla luce del contesto e della storia più recente della regione e del nostro Paese.

Il libro descrive con forza ed efficacia il clima di illegalità, non certo riconducibile ai lavoratori africani – vessati, bistrattati, sfruttati – dei quali racconta le tragiche vicende. Vittime di un odio ingiustificabile. «Chi li aggredisce pensa: non hanno documenti, non possono andare alla polizia; non hanno parenti, non ci sarà chi li vendica. Sono bersagli ideali, dunque». Vittime, appunto, ma capaci di ribellarsi all’odio e allo sfruttamento e di rivendicare il diritto a trattamenti umani. «La comunità africana ha dimostrato un senso dello Stato maggiore rispetto a quello degli stessi rosarnesi. Hanno saputo alzare la testa».

Quello che Roberto Saviano ha definito «Assai necessario da leggere, con un titolo in cui credo molto», è un libro che rende giustizia ai tanti immigrati che lavorano nel nostro Paese in condizioni inaccettabili e che, in aggiunta, devono subire atti di razzismo gratuiti e crudeli, sospetto, fastidio e pregiudizi infamanti.

E richiama l’attenzione sulla ‘ndrangheta e su come la criminalità organizzata riesca a governare intere parti del nostro Paese. Del resto, «Con un nucleo forte di due grandi famiglie di ‘ndrangheta, circa altre dieci famiglie minori, e un sottobosco di centinaia di giovani che, pur senza diretta affiliazione mafiosa, condividono il sistema di valori e le teoriche opportunità di ascesa sociale offerte dal crimine, Rosarno ha – in rapporto ai suoi quindicimila abitanti – una presenza criminale degna di una metropoli».

Le vicende di Rosarno non hanno un significato che si limita al contesto locale – e questo è un altro motivo per leggere questo libro. In questa regione (la Piana di Gioia Tauro) «è possibile senza sforzo ravvisare le maggiori contraddizioni della nostra epoca: le grandi migrazioni; la globalizzazione che distrugge le produzioni locali, specie in agricoltura; la criminalità organizzata transnazionale; la corruzione della politica; la diffusione della cultura della violenza; le disumane leggi sull’immigrazione; lo sfruttamento estremo dei lavoratori. Su tutto prevale la parassitaria presenza mafiosa, che opprime la popolazione, prosciuga le risorse del territorio e azzera il capitale sociale».

Il libro di gennaio...




                                      
"IL LIBRO NERO DELL'ALTA VELOCITA'.
OVVERO IL FUTURO DI TANGENTOPOLI DIVENTATO STORIA"
                                        
di IVAN CICCONI
Koinè nuove edizioni, Roma 2011, € 14,00
Recensione a cura di Luca Menichetti.
Nel 1997 fu pubblicato “La storia del futuro di Tangentopoli” di Ivan Cicconi, libro che a quanto pare divenne un cult tra gli stessi magistrati al tempo impegnati a scovare quei corrotti e corruttori che ancora proliferano senza freni nell’Italia delle P3 e delle P4. Così potevamo leggere quasi quindici anni fa: «Tangentopoli era un sistema, come tale aveva caratteri e meccanismi propri che consentivano la celebrazione di alcuni riti tangentizi, tre soprattutto: il Rito Ambrosiano e il Rito Emiliano. Nell’era di Mani Pulite si è colpito solo il Rito Ambrosiano [ndr: la tangente propriamente detta]»; ed inoltre: «La caratteristica del Rito Emiliano è data dal fatto che i soggetti imprenditoriali che ne sono protagonisti vedono al proprio interno un ruolo determinante di componenti partitiche. È il caso soprattutto delle imprese cooperative che lavorano nel settore delle costruzioni e in particolare negli appalti pubblici. Il rito mafioso [è quello] della tangente allargata e del condizionamento della sub-contrattazione in un contesto nel quale la criminalità organizzata esercita un controllo militare sul territorio».
Nel 2011 Cicconi è tornato sull’argomento constatando che i corrotti e i corruttori, avendo preso atto dell’esperienza di tangentopoli, si sono organizzati diversamente, e proprio con l’architettura finanziaria della cosiddetta Alta velocità e delle “grandi opere”, hanno trovato il modo per celebrare altri riti di fatto tangentizi, ma difficilmente raggiungibili col solo reato di corruzione.
Era tutto scritto in quell’opera del 1997: il “Libro nero dell’Alta velocità” rappresenta un aggiornamento di quel lavoro e mostra come la previsione si sia realizzata con contorni ancora più perversi e pervasivi rispetto a quanto immaginato.
Lo possiamo anche considerare il secondo capitolo del precedente “Le grandi opere del Cavaliere”, dove Cicconi, sintetizzando in maniera estremamente efficace le complesse vicende che hanno visto complici boiardi di Stato, imprenditori furbastri e politici disinvolti, ha reso ancor più intelligibili ai non addetti ai lavori cosa realmente è avvenuto e avviene per gestione e per la costruzione delle grandi infrastrutture.
Leggiamo a pag. 168, forse il brano che meglio spiega il trappolone che questi signori hanno regalato ai cittadini, tra un appello al progresso e un “ce lo chiede l’Europa” (salvo dimenticarsi di ricordare che magari è la stessa Italia che chiede alla Ue – truffandola - di dare corso a certi progetti): «La catena perversa, l’abbiamo visto, è sempre la stessa: il committente pubblico affida in “concessione” la progettazione, costruzione e gestione dell’opera pubblica ad una società di diritto privato (SpA), ma con capitale tutto pubblico (TAV SpA appunto, ma pure Stretto di Messina SpA o Quadrilatero SpA, per restare nell’ambito delle grandi opere). Ma è proprio a carico di questo concessionario di diritto privato, il cui capitale è tutto pubblico, che rimane il rischio della “gestione” e dunque del project financing (debiti a babbo morto) adottato per la realizzazione dell’opera. La SpA pubblica serve solo per millantare il finanziamento privato (prestiti o prodotti finanziari garantiti dai soci pubblici della SpA) e per garantire al contraente generale, che è il soggetto privato vero e proprio, il pagamento per intero e subito del costo della progettazione e della costruzione, mentre mantiene per sé (e cioè al pubblico) il rischio della gestione (ovvero i debiti futuri). Siamo dunque all’esatto ribaltamento delle politiche keynesiane del secolo scorso. Col modello TAV infatti, prima si consegnano i solidi e affari alle imprese, e poi si chiede ai cittadini di ripianare il debito: un Keynes alla rovescia, si dà ai ricchi e si fa pagare ai poveri».
Questa architettura finanziaria, tutta italiana, ha preso le mosse prima da Cirino Pomicino e da Necci, ancora in periodo pre-tangentopoli, e poi perfezionata da Lunardi con la Legge obiettivo.
Lo specchio di un paese dove abbiamo avuto la privatizzazione delle aziende pubbliche senza i privati e senza liberalizzazioni, dove i faccendieri al servizio di interessi privati impazzano con l’avvallo trasversale della politica e degli amministratori locali, e dove proliferano grandi gruppi imprenditoriali che si caratterizzano per fare gli imprenditori senza rischi.
Un’architettura truffaldina che fin dagli ’90 fu denunciata da Luigi Preti e Beniamino Andretta ed ai quali Cicconi dedica diverse pagine, non fosse altro per mostrare la diversità di rigore morale rispetto ai nostri attuali amministratori di destra e sinistra.
Significativo, ed indiretta risposta a coloro che ancora magnificano l’indotto delle cosiddette grandi opere, un brano della lettera che nel 1993 Preti inviò allarmato ad Andreatta, in previsione di quanto si voleva imbastire per spolpare l’erario: “L’industria non si sviluppa con questi lavori di costruzione, ma con imprese destinate a durare. D’altro lato, dieci o quindicimila persone eventualmente impegnate per alcuni anni nei lavori dell’Alta velocità sono ben piccola cosa sul fronte dell’occupazione. Senza contare che altri lavori, intesi a mettere a posto tante linee ferroviarie in pessime condizioni già esistenti, darebbero almeno lo stesso risultato” (pag. 37).
Qui è inevitabile ricordarmi un brano dal recente libro di Simona Baldanzi, “Mugello sottosopra”, quando i sindacalisti in quel di Pagliarelle promettevano così di risolvere la precarietà del sud Italia: “Più buchi, più gallerie per tutti”. Il tutto – mi cito - ricorda molto “Cchiù pilu pi tutti” di Cetto La qualunque, che prometteva di “costruire un pilastro di cemento armato per ogni bambino che nasce”.
Quello raccontato da Cicconi è un sistema in perfetta sintonia con l’espressione “gelatinoso” riservata alla P4, che vede complici nel saccheggio amministratori locali di destra e sinistra, leader nazionali, imprenditori che finalmente possono fare soldi senza rischiare nulla (si vedano le recenti proposte della Confindustria per “rilanciare” l’Italia), ben protetti da un’informazione omissiva, giornalisti ed editorialisti non si sa quanto in malafede o semplicemente disinformati, che ripetono come un mantra le consuete parole d’ordine di progresso, sviluppo e via e via.
E’ quindi probabile che discutere di questi argomenti dividendosi tra liberali amanti del progresso, gretti residenti affetti da sindrome nimby, radicali massimalisti con pulsioni silvo-pastorali e cavernicoli, non sia del tutto giustificato.
La verità è che questi signori, nel loro ruolo di intermediazione parassitaria, se la sono studiata proprio bene, fin dalla scelta del modello Tav francese, rispetto a quello svizzero e tedesco, al fine di spendere il più possibile in opere superflue (e spesso devastanti per l’ambiente), per arrivare poi a rimuovere i tratti più evidenti di illegalità, prima nel riformare i reati di abuso d’ufficio e falso in bilancio, e poi rendendo più difficile perseguire la corruzione col venire meno le qualifiche di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio nel mare magnum di società di diritto privato e nel “sistema di istituti contrattuali con i quali si privatizzano anche le funzioni della committenza pubblica”.
Cicconi ha scritto un libro di poco più di 180 pagine ed ognuna di queste è una storia di banditi e di saccheggio, a partire dall’incredibile vicenda della Val di Susa per arrivare ai progetti monstre nella rossa Emilia e nella rossa Firenze, alle cooperative, alle società partecipate dove, malgrado i vani tentativi della magistratura amministrativa e contabile di mettere un freno al banchetto, il magna magna non si ferma mai.
Vicende paradossali, dove a fronte di un presunto sviluppo e progresso, si sono persi invece l’ETR 500 ed abbiamo ottenuto un’offerta squilibrata, un servizio locale - che poi rappresenta la maggior parte della domanda - privo di investimenti in quanto meno sfruttabile per mangiarci sopra, un debito pubblico nascosto che si prospetta sempre più devastante, con buona pace dei presunti investimenti per il progresso e lo sviluppo: “gli investimenti privati saranno banali prestiti, tutti garantiti dallo Stato, che stiamo pagando e pagheremo per molti anni”.
Due sono le considerazioni che credo sorgano spontanee alla fine delle centoottanta pagine.
Assodato che la nostra informazione, fatta più che altro di editoriali che non fanno i conti con la realtà, e carente dal lato della pura e semplice cronaca, dei fatti, coloro che proliferano in questo sistema gelatinoso hanno tutto l’interesse a non replicare a quanto così chiaramente esposto da Cicconi.
Se il nostro autore avesse scritto baggianate avremmo almeno dovuto aspettarci smentite, querele e quant’altro. Repliche punto su punto, sulla base dei dati e delle cifre riportate qui e altrove.
Invece nulla di nulla. Al più si ripete il consueto mantra dello sviluppo, delle opere indispensabili, sorvolando sul perché si scelgono i progetti più impattanti per l’ambiente e le casse dello Stato, si replica sbrigativamente tacciando di massimalismo, di cavernicoli coloro che contestano certe scelte.
Provate a leggervi un po’ di normativa, poi fate una verifica delle dichiarazioni, soprattutto delle argomentazioni giuridiche e tecniche di questi signori e ne riparliamo.
Abbiamo inoltre capito che Cetto La Qualunque ha una famiglia molto numerosa.
Lui abita in Calabria, ma i suoi parenti parlano con tutti gli accenti italiani: alcuni torinese, altri fiorentino – magari li chiamano pure rottamatori - , altri ancora milanese, altri laziale.
E comunque è una famiglia molto variegata anche riguardo altri aspetti: alcuni dei La Qualunque si dicono berlusconiani, altri sono democratici, altri si dicono riformisti, altri liberali, altri progressisti.
Tutti però uniti da evidenti interessi in comune, ovvero da quella gelatina così ben raccontata da Ivan Cicconi nel suo libro.
Un’opera indispensabile per capire i meccanismi che, tra mille millanterie e falsità, ben supportate da quei media che hanno abdicato da tempo al loro ruolo, hanno reso i partiti “strutturalmente catalizzatori di illegalità e ladri di risorse, ladri di democrazia e ladri di futuro, ladri di tutto”.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Ivan Cicconi si è laureato in ingegneria a Bologna dove vive e lavora. E’ autore di saggi e ricerche sul settore delle costruzioni e sul tema degli appalti. Ha lavorato in diverse società di ricerca ed è stato professore a contratto nelle facoltà di Architettura delle Università La Sapienza di Roma e de Il Politecnico di Torino. E’ stato capo della Segreteria Tecnica del Ministro dei Lavori Pubblici Nerio Nesi nella XIII legislatura. Fino al 2007 è stato è direttore generale di NuovaQuasco, una importante società di ricerca per la “Qualità degli appalti e la sostenibilità del costruire”.
Attualmente è Presidente del Comitato di Sorveglianza della Stazione Unica Appaltante della Regione Calabria, e di Direttore dell’Associazione Nazionale ITACA, Istituto per la Trasparenza degli Appalti e la Compatibilità Ambientale. Il suo libro più noto è “La storia del futuro di tangentopoli” (1998), al quale è seguito “Le grandi opere del Cavaliere” (2003).
Ivan Cicconi, Il libro nero dell’Alta velocità, ovvero il futuro di tangentopoli diventato storia. Koinè nuove edizioni, Roma 2011, € 14,00
Recensione già pubblicata su ciao.it e qui parzialmente modificata.
Luca Menichetti, per Lankelot.

Il libro di dicembre...

                             
"SVASTICA VERDE. IL LATO OSCURO DEL VA' PENSIERO LEGHISTA"
di Walter Peruzzi, Gianluca Paciucci.
                                    
Editori Riuniti, 2011 - pagg.437, 15 euro.
Recensione di Cronache laiche.it
La Lega che racconta se stessa: è uscito presso gli Editori Riuniti “Svastica verde. Il lato oscuro del Va’ pensiero leghista“, di Walter Peruzzi e Gianluca Paciucci. Una minuziosa e ruvida antologia che mostra  cosa sia realmente il partito secessionista del Nord e quale grave pericolo rappresenti per le istituzioni e per la società, come spiega l’introduzione di cui riportiamo un passo.
Insieme alla Lega è cresciuta, in questi anni, la letteratura sull’argomento: il dibattito si è arricchito di analisi e saggi, spesso pregevoli, sulle origini del movimento leghista, sulla sua storia e le sue svolte. Sui fattori di disagio o di crisi che il Carroccio ha sfruttato per affermarsi. Inoltre gli esponenti leghisti, che fino ai primi anni Novanta erano stati piuttosto snobbati da stampa e televisione, sono diventati ospiti fissi di molte trasmissioni ben disposte e accomodanti, che hanno contribuito a dipingere la Lega sotto una luce migliore.
Viene accreditata come radicamento e attenzione ai problemi del  territorio la furbesca capacità della Lega di cavalcare le paure e di far leva sugli istinti per impossessarsi del potere e arraffare tutte le poltrone disponibili.
Vengono elogiati gli amministratori leghisti per la loro concretezza, nonostante qualche espressione o qualche comportamento ruvido, per usare un eufemismo, fatti passare come sano e ritrovato spirito popolare.
Vengono declassati a innocue e risibili sparate folcloristiche linguaggi e gesti triviali, gesti e comportamenti violenti, che ricordano le camicie nere e i cappucci bianchi del Ku Klux Klan, o altre camicie verdi di estrema destra, come le Croci frecciate ungheresi e la Guardia di ferro rumena. [...]
Lo strumento più semplice e più diretto per contestare il quadretto idilliaco cui è ridotta  la Lega Nord ci è parsa un’antologia. Ecco quindi “la Lega raccontata dalla Lega”, attraverso una raccolta sistematica e ampia, anche se ovviamente incompleta, di opinioni e dichiarazioni dei dirigenti leghisti, degli articoli de La Padania e delle proposte legislative, di iniziative nazionali e locali tratte dalla nuda cronaca, aggiornate ai primi giorni del dicembre 2010. [...]
Il risultato ci pare eloquente. La Lega si spiega da sé e il quadro complessivo smentisce tutte le sue tranquillizzanti rappresentazioni. Un movimento apparentemente pacifico, mosso da un onesto desiderio di garantire ai cittadini legalità, sicurezza, decentramento, federalismo e snellimento della macchina burocratica, cala la maschera, mostrando, invece, i lineamenti inconfondibili e brutali di un movimento eversivo, razzista e tendenzialmente totalitario, che ha come unico obiettivo la conquista e la gestione dispotica del potere. La Lega mira a una doppia occupazione: quella dell’immaginario, mediante una forte produzione simbolica, per ora vincente anche a causa del venir meno delle altre grandi narrazioni, e quella del territorio, mediante una lenta penetrazione per via elettorale o mediante alleanze e intese con lobby e centri di potere politico, economico e bancario.
Il carattere eversivo del movimento leghista è scritto nel suo stesso nome, che recita ancora oggi “Lega Nord per l’Indipendenza della Padania”. Un obiettivo riconfermato da Bossi appena qualche mese fa, nel settembre 2010, a Pontida. Il sovvertimento dell’ordine costituzionale, secondo cui la Repubblica è «una e indivisibile», resta lo scopo di un partito i cui massimi esponenti hanno giurato come ministri sulla Costituzione. Forse sarebbe più corretto dire spergiurato. Maroni, per esempio, è stato reclutatore nel 1996 della Guardia padana e per molto tempo è stato indagato insieme ad altri per banda armata: un ministro degli Interni che dovrebbe garantire, invece, la legalità e la sicurezza dello Stato.
Al secessionismo, proclamato in nome della Padania e dei padani, di una nazione e di un’etnia inesistenti, si accompagna un conclamato razzismo contro chi non è padano: che si tratti di romani, meridionali, immigrati, disabili e gay poco importa. Tutti diversi, quindi nemici. Tutti «fuori dalla Padania», oppure dentro quando e per quanto servano come mano d’opera da sfruttare in nero. Per poi magari essere tolti dalle graduatorie, se insegnanti o magistrati meridionali, come la Lega sogna. Peggio ancora se rom o migranti: espulsi, sgomberati ed esclusi dal diritto alla scuola, alla casa o alla salute. Meglio respingerli in mare, negando loro diritto all’asilo e mandandoli a sicura morte in paesi come la Libia, che non rispettano i diritti umani (negati del resto anche in Italia ai migranti rinchiusi in zone di non diritto come i Cie).
Si tratta di un razzismo su base etnica, come quello nazista che si richiama alla razza ariana. Ad esso si accompagna un sessismo becero, analogo a quello del loro alleato e amico Berlusconi, che si serve delle battute o delle immagini più logore e dei più biechi luoghi comuni per ribadire l’assoluta supremazia del maschio, bianco s’intende. Tale razzismo si riflette in un’idea proprietaria del territorio e del potere, in base alla quale chi ha la maggioranza dispone delle istituzioni come vuole. Marchiando, per esempio, la scuola pubblica, le strade e i ponti con i simboli di partito. Seguendo il modello dei regimi totalitari. Svastica verde, appunto: da Adro a Buguggiate, da San Martino di Lupari a Castronno.
Che l’unico obiettivo del ceto politico leghista sia il potere, tanto odiato quanto invidiato e conteso a «Roma ladrona», è documentato anche dall’opportunismo senza princìpi che portò la Lega prima ad agitare in Parlamento il cappio, chiedendo l’intervento della magistratura contro i corrotti o invocando i rigori della legge contro «il mafioso di Arcore», poi a solidarizzare proprio con Berlusconi e a votare tutte le leggi ad personam necessarie per tenerlo fuori dalla galera insieme ai suoi parlamentari e sodali indagati per mafia o altri reati. È la stessa disinvoltura di cui la Lega dà prova servendosi strumentalmente della religione a fini di potere, passando dai matrimoni celtici e dal culto pagano del Dio Po alla campagna in favore del crocefisso e del  presepio. [...]
Tuttavia la Lega non sarebbe arrivata a prendere con il 10 per cento dei voti su scala nazionale il 90 per cento delle decisioni di governo, a infettare le istituzioni e a diffondere il razzismo dal Nord al Sud del paese, se non fosse stata coccolata a turno dalla destra e dalla sinistra. [...]
L’augurio è che queste pagine aiutino a far comprendere meglio cosa sia la Lega e perché rappresenti, al pari degli altri partiti di estrema destra in ascesa in Europa, una minaccia mortale per la convivenza civile, da contrastare anche sul piano giudiziario, in Italia e davanti la Corte europea di Strasburgo, ma soprattutto su quello politico e culturale.

Il libro di novembre...


                                   
"Il territorio della politica. La nuova partecipazione di massa nei
movimenti No Tav e No Dal Molin"
di LORIS CARUS0
Ed.Franco Angeli, 2010, euro 25.

Recensione di Gianni Belloni (carta.it)
Si tratta probabilmente dello studio più approfondito svolto su due dei movimenti più significativi dell'ultimo decennio: i “NoTav” della Valle di Susa e il “NoDalMolin” vicentino. Il libro di Loris Caruso, “Il territorio della politica”, uscito nell'ultimo scorcio del 2010, rischia di pagare il prezzo dell'intempestività. Esce infatti in un periodo in cui i movimenti locali non sono più sulla cresta dell'onda - non perché si siano spenti, ma perché altre emergenze sono comparse – rispetto a 3 anni fa. Il libro comunque non concede nulla al facile marketing, si tratta di un'inchiesta accurata sia per quanto riguarda la ricerca sul campo sia per l'impianto teorico utilizzato (che tanto deve ad Alberto Melucci), in definitiva una lettura utile e ricca.
Molte le questioni sollevate dallo studio, tra queste citiamo la conclusione – che contraddice molta della letteratura sociologica in materia - a cui giunge Caruso per cui i movimenti creano reticoli e legami sociali più che utilizzare quelli preesistenti. I conflitti infatti hanno la capacità di produrre socialità anche in presenza di società poco coese e con un tessuto sociale labile. Da qui la partecipazione vissuta per la ricostruzione di una socialità mai sperimentata prima dell'emergere del conflitto. I movimenti inoltre non si avvantaggiano, anzi, della presenza di forti organizzazioni preesistenti che in realtà sopraggiungono quando i movimenti sono già visibili. Altra questione è quella riguardante l'”ascesa”, durante lo sviluppo del movimento, da motivazioni particolari a motivazioni di carattere più generale e “politiche”. In realtà secondo lo studioso non si tratterebbe di fasi successive, di una presa di coscienza progressiva, ma di pluralità di visuali che vengono giocate in tempi e modi diversi.
Molto interessante la suggestione, proposta sulla scorta degli studi di Tilly, per cui l'emergere di conflitti locali – periferici rispetto alla dinamica statalista/centralista – rappresenta un ritorno alle lotte del '600 e '700 quando la sovranità statale e la centralizzazione dei poteri non era ancora pienamente dispiegata. Da qui il ragionamento si dispiega attorno alla radicale alterità dei movimenti – disinteressati alla presa del potere ma impegnati nel controllo di spazi di autonomia – rispetto alle logiche e agli spazi performanti della politica.





Il libro di Ottobre...

                                             
                             "Liberiamoci dall'euro. Per un'altra Europa"
                                   di Marino Badiale e Fabrizio Tringali
                                     edizioni Asterios pag.33  -  3 euro.
       
                                       Segnalazione di Battista Cicli.
Presentato anche a Chivasso alla fine di settembre nell'ambito della mini-rassegna "Risorse Rubate"  proposta dal Centro Otelli, questo saggio ha il pregio di fornire riposte "altre" all'attuale, drammatica crisi economico-finanziaria che sta attanagliando interi paesi, dall'Irlanda al Portogallo, dall'Islanda alla Grecia, dalla Spagna all'l'Italia.
Una scelta editoriale coraggiosa perchè si possono leggere delle analisi e dei tentativi di ricette per curare le economie europee malate di "debiti sovrani" che solitamente non si sentono mai in televisione, nè si leggono sui grandi quotidiani nazionali, quelli che da sempre "fanno opinione", anche "a sinistra".
Questo breve ma tutt'altro che banale saggio dei due autori genovesi ha il grande merito di cercare delle strade diverse dalle solite ricette scritte tutte dalla stessa mano: provare ad uscire dall'euro come unica possibilità per evitare l'attacco finale ai redditi dei ceti subalterni, in quei paesi che con tutta probabilità saranno le vittime designate dopo la Grecia. Una strada sicuramente difficile e non priva di insidie, ma che nel medio-lungo termine potrebbe rivelarsi meno traumatica che quella di continuare a subire i diktat che ci giungono da chi intende sempre e solo imporre le proprie ricette ultraliberiste, che niente dovrebbero avere a che fare con quella Europa dei popoli che si sarebbe dovuta realizzare...
SE VUOI LEGGERE IL SAGGIO, PUOI CLIKKARE SUL LINK SEGUENTE:
Liberiamoci dall'euro

Il libro di Settembre...

                                


"L'autarchia verde"
di Marino Ruzzenenti
Jaka Book, Milano 2011 - pp. 300 - € 25.


Marino Ruzzenenti lo conosciamo, è un ambientalista di Brescia, grande oppositore del locale inceneritore. E' venuto due volte  a Chivasso, nel 2005-2006, a presentare i suoi interessantissimi libri.

Ai lettori del nostro Blog proponiamo qui sotto questa recensione a cura della "Pastorale Sociale" di Brescia.
Tommaso LOCCHI. 
 

Un libro di storia da leggere nella prospettiva dell'attualità. Dal punto di vista storico, il testo riprende il tema dell'autarchia fascista e ne descrive i presupposti economici e politici (cap. 1). Entra poi nei singoli ambiti dell'esperimento autarchico: lotta agli sprechi (cap. 2), cibarsi e vestirsi con i prodotti della terra (cap. 3), l'energia: combustibili nazionali e fonti rinnovabili (capp. 4 e 5), autoprodursi i materiali strategici (gomma, esplosivi, metalli, plastiche...; cap. 6). Dal punto di vista dell'attualità, l'ultimo capitolo invita a riflettere sulle vicende manifatturiere del dopoguerra fino ad oggi. Con la libertà politica è arrivato anche il liberismo economico che, di fatto però, si è tradotto in uno sconsiderato sfruttamento delle risorse della terra, volto a costruire sempre nuovi oggetti, destinati a finire nelle discariche dei rifiuti, per far posto ad altri oggetti, capaci di alimentare l'ininterrotto ciclo del mercato (produci – rifiuta – produci). Ma questa prassi è illusoria, senza futuro; viviamo in un mondo non infinito, ma limitato: la “logica” che lo regge non è quella dell'usa-e-getta, ma quella dei cicli naturali nei quali tutto viene ripreso e valorizzato; altrimenti si rischia l'esaurimento e la morte. In questo senso anche l'autarchia fascista, liberata dalle deleterie motivazioni belliche e nazionaliste, può darci indicazioni preziose: recuperare una economia “sobria”, rispettosa dei tempi della natura, capace veramente di futuro per tutta la terra.

Il libro di Agosto...

 "DIAZ, processo alla Polizia"

 di Alessandro MANTOVANI

 Fandango Libri, 315 pagine, 15 euro.

Recensione a cura di Silvia Brigotti. 

A  dieci anni di distanza da quel 21 luglio 2001, ultimo giorno del G8 di Genova, Mantovani torna nella scuola degli orrori, l’istituto Diaz , in cui 300 operatori delle forze dell’ordine hanno dato vita ad un vero e proprio massacro arrestando e picchiando 93 persone senza che queste opponessero alcun tipo di resistenza. Sono intervenuti alla presentazione del libro  Domenico Procacci,  fondatore della casa di produzione Fandango, Riccardo Noury di Amnesty International e Carlo Bonini, inviato del quotidiano La Repubblica.Ad aprire l’incontro è Procacci che annuncia per domani l’inizio delle riprese del film  Diaz-non pulire questo sangue, e  spiega alla sala come l’interesse di Fandango per gli eventi di Genova sia sempre stato vivo.  La casa editrice già nel 2002 aveva pubblicato Le parole di Genova, un libro in cui oltre agli scontri di piazza e  all’irruzione della polizia nella scuola Diaz, sono stati raccolti gli atti del Forum intitolato Un altro mondo è possibile che si è svolto a Genova nei giorni del G8, a cui hanno preso parte centinaia di personalità provenienti da tutto il mondo per dare vita ad un manifesto della società civile scandito in otto parole. Globalità, Diritti, Pace, Povertà, Terra, Democrazia, Popoli, Lotta. Parole tristemente offuscate  da quella notte in cui il VII nucleo, seguito dagli agenti della Digos, ha fatto  irruzione nella scuola Diaz,  perché si sospettava la presenza di black block nell’edificio, dando vita a quella che il comandante Fournier ha definito “una macelleria messicana”. In realtà si trattava per lo più di giornalisti e di ragazzi stranieri che dormivano all’interno dell’edificio. Molti di loro hanno scoperto solo in ospedale di essere stati arrestati per associazione a delinquere finalizzata alla devastazione e al saccheggio, resistenza aggravata, porto d’armi e sono stati rimpatriati con l’accusa di terrorismo. “Che il massacro non sia stato programmato, questo è un fatto ovvio” come sottolinea Bonini, anche perché l’ufficio stampa della Polizia di Stato aveva contattato numerosi giornalisti per assistere all’intervento di quella notte. Che ci sia stata dell’incompetenza perché molti ufficiali non avevano la giusta preparazione per affrontare l’ordine pubblico, è un fatto assodato. Ma, paradossalmente,  ciò che colpisce di più, come afferma Mantovani, “ non è tanto quello che è successo, ma il modo di difendersi da malavitosi (riferendosi alla polizia) sottolineando alla magistratura il loro ruolo di Stato….. imputati che non si sono presentano in aula perdendo l’unica possibilità che avevano di spiegare quello che è realmente successo…..”Ma ciò che dovrebbe far riflettere ancora di più è che in Italia, nonostante il massacro avvenuto nella scuola Diaz, ancora non esiste un organismo indipendente di monitoraggio dei diritti umani e neanche una pena per il reato di tortura.  Perché di tortura si è trattato, come fa notare Riccardo Noury di Amnesty International, quello che è accaduto dieci anni fa a Genova.

Il libro di Luglio...


"DP, venti anni dopo"

di Matteo Pucciarelli
Edizioni Alegre - 16 euro.

Nel 1991 finiva l’esperienza di Democrazia Proletaria, erede dei movimenti nati nel ’68 e protagonisti degli anni Settanta. Dp ha rappresentato il tentativo di tenere viva quella stagione in un esperimento originale che ha messo insieme marxismo eretico, cattolicesimo del dissenso, ambientalismo, garantismo, pacifismo. Tematiche solo in parte vissute nell’esperienza successiva, quella di Rifondazione comunista in cui Dp è confluita facendo perdere le proprie tracce. Questa è forse la prima storia completa raccontata attraverso le testimonianze dirette dei protagonisti: i principali dirigenti, come Mario Cappanna e Giovanni Russo Spena o i semplici compagni di strada come Paolo Villaggio e Andrea Pazienza. Ma è anche un viaggio a ritroso nella Nuova sinistra ripercorrendo i drammatici, ma irripetibili, anni Settanta.


Il libro di Giugno...

                                       
“Preghiera per Cernobyl”
di Svetlana Aleksievic
Edizioni e/o. pagine 348 - euro 8.50.
                                                                 
La notte del 26 aprile 1986 una serie di esplosioni e il conseguente incendio distrussero il reattore e il fabbricato della quarta untà della centrale elettronucleare ucraina di Cernobyl'. Lo scoppio rilasciò nell'atmosfera un'enorme quantità di materiale radioattivo che, in particolare, ricadde per il 70% sul suolo della vicina Bielorussia. Alcuni dati di questo "incidente", il quale si configurò ben presto come un'immane catastrofe tecnologica, la più grave di ogni tempo e luogo, sono, per la sola Bielorussia: un quarto del territorio, sul quale vivono oltre due milioni di persone, contaminato; un quarto delle foreste e 1,8 milioni di ettari di terreni agricoli avvelenati dalla radioattività. Dopo i primi, reticenti, rapporti ufficiali, col passare degli anni sono apparsi anche in Urss, e poi nelle Repubbliche che ne hanno preso il posto, esaurienti analisi delle cause e responsabilità del disastro ed è stato celebrato l'eroismo dei vigili del fuoco, degli addetti della centrale, dei militari e della polizia, dei tecnici cosiddetti "liquidatori" (delle conseguenze dell'avaria) - tutte persone spesso mandate allo sbaraglio, senza adeguate direttive e cautele. Grazie a migliaia di articoli e decine di libri, fatti, nomi, cifre sono oramai noti. Nell'accingersi, a dieci anni dalla catastrofe e dopo tre anni spesi in conversazioni coi protagonisti e testimoni sopravvissuti di quell'evento, a dare alle stampe questo libro, la scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic si chiedeva: "Cosa possiamo aggiungere ancora a tutto ciò? Di che cosa parla questo libro?". E rispondeva. "Questo libro non parla di Cernobyl', ma del mondo di Cernobyl'. Proprio di ciò che conosciamo poco o nulla… La ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti". E così Svetlana Aleksievic ha dato voce, con decine e decine di interviste, a quel "popolo di Cernobyl'" composto di persone dalle professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi, donne, uomini, bambini e soldati, contadini e intellettuali, credenti e atei. Dice l'Autrice: "Cernobyl' è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa dentro di loro, e anche attorno, e non solo la terra e l'acqua. Tutto il loro tempo". E poi: "L'uomo d'oggi si trova sulla linea di rottura di due epoche… Si sono combinate due catastrofi: l'una sociale, è colato a picco sotto i nostri occhi l'enorme impero socialista e l'altra cosmica, Cernobyl'. Due esplosioni globali". E infine: "Più di una volta (viaggiando, conversando, prendendo appunti) ho avuto l'impressione che in realtà stessi annotando il futuro". Ma non è un futuro desolato, senza speranza. Le potenti "cronache" di Svetlana Aleksievic cercano e riescono a restituirci con veridicità e maestria il mondo interiore di donne e uomini i quali, sconvolti" e forse distrutti dagli epocali eventi, hanno tuttavia raccolto la sfida di cui pure parla l'Autrice: "dire parole nuove… un testo ancora a tutti sconosciuto". Sono parole ed è un testo che superano la mera contemplazione di eventi atroci, e che spesso, vincendo l' "ipnotismo della sofferenza", trovano lo slancio per comporsi in straordinarie pagine di amore e incontro con l'altro. Si vedano a questo proposito i due racconti, posti all'inizio e alla fine del libro con l'identico titolo "Una voce solitaria", due storie femminili di intensità quasi insostenibile; e questa piccola chiusa, con le parole di una contadina tornata a vivere senza autorizzazione in quella sua casa contaminata che è per lei l'unico mondo possibile: "Tu, Svetocka, non prendere nota di quello che ti racconto, e non comunicarlo alla gente. Sono cose che è impossibile comunicare. Io te le racconto soltanto perché io e te si possa piangere un poco insieme. E perché, andando via, tu ti volti a guardare la mia casetta non una volta, ma due…".

Il libro di Maggio...


"INDIGNATEVI"
di Stéphane Hessel
Add editore -  64 pagine  5 euro.
Recensione da www.libriblog.com 

Indignez-vous!, Indignatevi!, è il titolo del libro che ha conquistato i giovani francesi nel periodo natalizio, superando le 650mila copie vendute in soli tre mesi, scalando le classifiche di vendita e smentendo tutti i pronostici che vedevano in vetta l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, La Carte et le Territoire, vincitore di uno dei più importanti premi letterari francesi, il Prix Goncourt.
Indignatevi!, invece, è il nuovo caso letterario francese (ne ha parlato Il Fatto, qui), un opuscoletto di circa trenta pagine venduto a soli 3 € e scritto da Stéphan Hessel, un poeta, diplomatico ed eroe della Resistenza francese di 93 anni. Stampato per la prima volta a ottobre da una piccola casa editrice di Montpellier in circa 8mila copie, in pochi mesi il libricino ha raggiunto e superato le 650mila copie vendute, lasciando tutti a bocca aperta e affermandosi come best seller. In queste settimane, inoltre, il libro è in procinto di essere tradotto e venduto in moltissimi altri paesi, tra i quali il Giappone, gli Stati Uniti e l’Italia.
Ma cos’è che ha saputo affascinare i giovani francesi?
Rivolgendosi ai giovani di sinistra, Stéphan Hessel chiede loro di ritrovare la forza di indignarsi e ribellarsi contro un paese che ormai non è più quello di un tempo e che ha perso molte delle conquiste sociali ottenute con la Resistenza.  Stéphan Hessel, in particolare, punta il dito soprattutto contro la politica finanziaria attuata da Nicolas Sarkozy volta a favorire i ceti più fortunati e contro il trattamento che la Francia, da sempre cosmopolita e accogliente, ha ultimamente riservato ai Rom e ai clandestini. Lo scrittore, inoltre, sottolinea il crescente divario tra ceti ricchi e ceti sempre più poveri e le scelte non sempre positive operate dai mercati finanziari: problemi sociali molto comuni e importanti, insomma, che da anni affliggono anche l’Italia.
Le parole di Stéphan Hessel, insomma, trasudano di senso civile e amore per la sua patria ed è forse questo che ha determinato il suo grande successo.
Con Indignatevi!, infatti, lo scrittore hanno saputo conquistare in brevissimo tempo il cuore di molti giovani: le sue idee e le sue parole lo hanno reso un vero e proprio idolo.

Il libro di Aprile...


"La Città delle Nuvole. Viaggio nel territorio più inquinato d’Europa"
di Carlo VULPIO
160 pagine, 14 euro. Edizioni Ambiente, collana "Verdenero Inchieste".
Un mostro ecologico tiene sotto il ricatto della perdita del posto di lavoro una città intera. È enorme, potente e pericoloso per la salute di chi vi abita intorno. È il centro siderurgico che si innalza alle porte di Taranto, ma sarebbe meglio dire che “occupa” la città, un’anomalia tutta italiana. Un viaggio nel territorio più inquinato d’Europa, attraverso la voce dei suoi protagonisti: inserti di una vita vissuta pericolosamente, in un clima segnato da omertà politica, rapporti occultati, vessazioni e omesse denunce. Rilevazioni contraffatte e rivelazioni scomode. E poi morti, tanti, quanti non ci si aspetterebbe, evaporati nel silenzio della città delle nuvole. Tra politici assenti – quando non troppo presenti -, sospetti e scandali annunciati, l’inchiesta di Carlo Vulpio persegue la “scellerata” ricerca della verità, supportato solo dalle attività di una società civile sempre più consapevole, nel (quasi) silenzio dei mezzi di informazione. Perché, almeno fino a oggi, protocolli e atti d’intesa non sono serviti a chi l’acciaieria e gli altri stabilimenti del polo industriale – la respira quotidianamente. Nonostante testimonianze, interrogazioni parlamentari, processi e condanne, il campionario delle vittime non accenna a diminuire: i malati di leucemia del quartiere Tamburi; fumatori incalliti di undici anni; donne e uomini sopraffatti dalla diossina; masserie svuotate; interi allevamenti di bestiame sterminati.

Il libro di marzo...



"Democrazia, S.p.A.
Stati Uniti: una vocazione totalitaria?"
di Sheldom WOLIN.
Fazi editore, 2011. pag.481. euro 24.
Segnalazione di Piero BALLESIO.

“Wolin è l’analogo americano di Norberto Bobbio […] la coscienza critica della democrazia americana”.
Remo Bodei

"Proprio quello che ci saremmo aspettati da Sheldon Wolin: un libro, ben argomentato e profondamente rivelatorio, sui pericoli, per la nostra democrazia, di un capitalismo sfrenato”.
Robert B. Reich
In Democrazia, S.p.A., Sheldon Wolin – l’autore del classico Politica e Visione su cui si è formata una generazione di teorici della politica – prende in considerazione l’impensabile: e se l’America si fosse involontariamente trasformata in uno strano ibrido politico, in cui il potere economico e quello dello Stato si sono fusi in un connubio privo di freni e per questo incline a forme totalizzanti? Può l’America arrestare la propria vocazione totalitaria? Certo, l’America di oggi non è in alcun modo paragonabile a sistemi totalitari come la Germania nazista e infatti l’autore conia un termine ad hoc per questo totalitarismo all’americana: si tratta infatti di un “inverted totalitarism”, ossia il frutto dell’inversione verso l’interno del potere forte della Superpotenza, prima puntato sulla sola politica estera. L’autore evidenzia alcune patologie, il prodotto di una pericolosa affinità tra elitarismo politico e capitalismo, e analizza le costruzioni mitologiche che giustificano la recente politica americana, in particolare l’affermazione di un’economia in continua espansione e l’attrazione perversa per la guerra preventiva e globale. Ma Wolin si spinge oltre e afferma che, a differenza di quel che si pensa, l’America non è neppure mai stata la tanto celebrata culla della democrazia moderna: già la Costituzione dei Padri Fondatori rivelava una forte tendenza elitaria. Analizzando la storia degli Stati Uniti, in particolare dalla guerra fredda all’11 settembre, l’autore documenta come, a parte la parentesi del New Deal, l’America non sia mai stata democratica e ora, lungi dal trovarsi sul ramo discendente della “parabola democratica”, sembra aver imboccato una “spirale totalitaria”. Del resto, già Aristotele e poi Tocqueville ci avevano insegnato che il passo da «una democrazia gestita dall’alto» al totalitarismo è breve. Negli Stati Uniti, non solo è stata abbandonata l’idea della “democrazia partecipativa” in forza della manipolazione del consenso e del «crescente abbandono della divisione dei poteri a favore dell’esecutivo», ma stiamo assistendo all’incessante rafforzamento di un sistema perverso di gestione privata di lobbies del potere. Non quindi una Democrazia che non c’è (Paul Ginsborg), né una Postdemocrazia (Colin Crouch) o una democrazia debole, ma una premeditata vocazione totalitaria mantenuta viva dalla commistione tra politica e affari.

Il libro di febbraio...

I

"Il grande saccheggio
L'età del capitalismo distruttivo"

di Piero BEVILACQUA
Laterza ed. - pag 256 - 16 euro.

Segnalazione di Piero BALLESIO.

Il capitalismo è entrato in un'epoca di distruttività radicale. Dissolve le strutture della società, cannibalizza gli strumenti della democrazia, desertifica il senso della vita.
Viviamo in una delle più paradossali società che la storia umana abbia mai edificato nel suo lungo cammino. Una ricchezza straripante che dilaga dappertutto e la condanna alla marginalità degli uomini e delle donne che la producono. Oceani di beni intorno a noi, che non servono però a dare tempo di vita, non ci liberano dalla precarietà, ci gettano nell'insicurezza, obbligano a un lavoro crescente, a rapporti umani definitivamente mercificati e privi di senso. Il culto dell'individualismo esorta al consumismo solitario di prodotti effimeri, degrada l'ambiente che abbiamo intorno, danneggia l'habitat sociale comune, è in conflitto con l'interesse generale. Paradossalmente, mentre spinge alla solitaria soddisfazione di ognuno, compromette alla radice la possibile felicità di tutti. È altra invece la direzione di marcia richiesta da un approdo più avanzato di civiltà. L'utilizzo dei beni comuni richiede non il possesso, ma la condivisione d'uso, non la predazione individuale, ma il godimento collettivo. Tale nuova dimensione pubblica della ricchezza deve oggi trovare il linguaggio che l'esprime, le parole capaci di raccontarla.

Piero Bevilacqua è ordinario di Storia contemporanea all'Università di Roma La Sapienza. Ha fondato e diretto la rivista "Meridiana" e ha pubblicato, tra l'altro, Venezia e le acque (n.e., Roma 20002), La mucca è savia. Ragioni storiche della crisi alimentare europea (Roma 2002), Prometeo e l'Aquila. Dialogo sul dono del fuoco e i suoi dilemmi (Roma 2005), L'utilità della storia. Il passato e gli altri mondi possibili (Roma 2007).
GUARDA LA PRESENTAZINE DE "IL GRANDE SACCHEGGIO..."
clikkando su: 


Libro di gennaio 2011...

 

 "La paura del laico", di R.Escobar
Il Mulino.editore. pp.113
e:
"Poveri, noi", di M.Revelli
Einaudi, pp.127.
Recensioni a cura di Ermanno VITALE.
Sono due libri piccoli quelli che vorrei presentarvi: R. Escobar, La paura del laico, il Mulino, Bologna 2010,pp. 113, e M. Revelli, Poveri, noi, Einaudi, Torino 2010, pp. 127.  Insieme tolgono il velo sull'Italia di oggi, interpretando la cifra e le cifre di un disastro non solo economico ma anche, e forse soprattutto, morale e civile. Di più, esistenziale. Due piccoli libri, assai densi, che andrebbero letti con attenzione da chi fa parte delle classi dirigenti, in particolare da chi fa politica, non importa se a destra o a sinistra, se alla base o al vertice  dei partiti e dei movimenti. Per provare, proporzionalmente alle loro responsabilità, la vergogna che tutti meritano di provare e per provare a ripartire, finalmente, dall'ammissione pubblica del naufragio in corso anzichè alla sua negazione.
Solitudine esistenziale e paura dell'altro, soprattutto se ci appare come uno straccione venuto da lontano con la pretesa di condividere il nostro benessere ormai precario, dominano attualmente tutta  l'Europa occidentale, che si vanta di essere la terra dei diritti dell'uomo e della solidarietà sociale, ma in particolare l'Italia.  Nulla di nuovo sotto il sole: l'impoverimento materiale e morale delle classi subalterne  "dei penultimi",  si traduce nella ricerca di un facile capro espiatorio negli ultimi, in chi sta ancora un gradino sotto, i migranti, i poveri radicali, gli zingari. Queste dinamiche sociali della paura sono state coltivate ideologicamente dal connubio leghismo-berlusconismoin quanto inesauribile fonte di facile consenso politico. Scrive Escobar: "pare che tra le due visioni del mondo, tra quella etnicistica e quella televisiva, ci sia più un punto d'incontro. Intanto, entrambe pretendono di semplificare il mondo, ora con l'odio ora con la fascinazione populistica. E poi un altro elemento le accomuna, le fa coerenti: il rifiuto  esplicito per gli etnisti, dissimulato per l'uomo del popolo di una prospettiva politica (e culturale) laica" (pp. 67-68). I miti identitari della padania così come l'identificazione berlusconiana del popolo con un capo non ammettano per definizione la possibilità di altre visioni del mondo, di altri progetti di società. Tutto ciò che non è con noi, è un complotto contro di noi da parte di forze oscure e malvagie. 
Il libro di Revelli deve molto, per ammissione dell'autore, alla sua esperienza di presidente, nel periodo 2007-10) della Commissione d'indagine sul'esclusione sociale (CIES). E' infatti una ordinata, sintetica ma non scarna, raccolta di cifre, di dati statistici che mettono a nudo il disastro Italia. Ne riporto solo uno, per non togliervi il piacere amaro della lettura: "l'indicatore europeo della popolazione a rischio di povertà" ci colloca in una posizione francamente imbarazzante, una delle peggiore dell'Europa a 25. Nel 2007 è l' ultimo anno di "benessere" prima dell'esplodere della crisi, con una percentuale pari al 20% (un cittadino su 5 sotto la soglia) l'Italia si posizionava  al quartultimo posto (che diventa l'ultimo se il calcolo è eseguito  su valori di soglia "ancorati"  al 2005) , seguita  solo dalla Lettonia (21%),  dalla Bulgaria (22%) e dalla Romania (25%)? (pp. 31-32). L'Olanda, la migliore, era invece al 10%. Eppure tutti insistono, anche a sinistra, con la grottesca retorica del "siamo un grande paese"!
Ma Revelli non si limita ai dati, li interpreta, ne tira le conseguenze, anche emotivamente forti,sulla psicologia collettiva, sui sentimenti della nazione e sulla sua tenuta democratica. Il quadro è alanto realistico quanto desolante. Anche in questo caso mi limito a una citazione tra le molte che fanno riflettere sul futuro che attende le giovani generazioni: "La moltiplicazione dei conflitti orizzontali sembra essere diventato il tratto dominante di una società come quella italiana " bloccata verso l'alto". Nella quale, cioè il conflitto redistributivo appare confinato al circuito inferiore della stratificazione sociale. Ridotto alle sezioni marginali della ricchezza sociale. Ciò che conta, e ciò che solo appare fattibile ai quasi poveri dell'ex ceto medio, non è tentare di togliere qualcosa ai super-ricchi o di scalare la piramide sociale con l'impegno severo negli studi e nel lavoro ma al contrario spingere ancora più in basso, e se possibile fuori dallo spazio sociale, chi sta già sotto: l'invidia sociale lavora non come pungolo di emulazione per assottigliare le diseguaglianze, ma come risentimento e odo dei penultimi verso gli ultimi. Ultimi, certo, ma che agli occhi dei penultimi, di un ceto medio impoverito, hanno comunque troppo, troppe tutele, troppi diritti ecc. I ricchi sono ormai intoccabili e, per così dire, giocano in un campionato cui non si può neppure pensare di accedere. Le diseguaglianze sono abissali, quasi inesprimibili. E allora l'autostima del ceto medio traballante è data dal distanziamento verso gli ultimi, che debbono essere ulteriormente schiacciati e cacciati, verso i quali non c'è più sentimento di pietà ma un'assurda forma di invidia per chi sta peggio ma ci appare come incombente destino, come prossima fermata: "Forse per la prima volta nella storia " commenta Revelli " il motto del Boccaccio è solo la miseria senza invidia"(p. 119).
Si sta ricreando, e sta ingrossando rapidamente, quella massa di manovra che già fu al servizio dei totalitarismi novecenteschi. Un ceto medio-basso rancoroso e cattivo, giovani senza prospettive, disillusi dalle istituzioni democratiche, che combattono la guerra infinita della globalizzazione senza sapere neppure perchè e  da che parte stanno, chi sono gli amici e i nemici.  Un cocktail molotov perfetto, che lascia poco tempo per ripristinare lo statuto "di ciò che finora è stato inteso come democrazia" (p. 127). E per avere una probabilà ࠤi riuscita, l'esercizio del pessimismo e non dell'ottimismo sarebbe il dovere di una classe dirigente responsabile.