"IL LIBRO NERO DELL'ALTA VELOCITA'.
OVVERO IL FUTURO DI TANGENTOPOLI DIVENTATO
STORIA"
di IVAN
CICCONI
Koinè nuove edizioni, Roma 2011, € 14,00
Recensione a cura di Luca Menichetti.
Nel 1997 fu pubblicato “La storia del futuro di Tangentopoli” di Ivan
Cicconi, libro che a quanto pare divenne un cult tra gli stessi magistrati al
tempo impegnati a scovare quei corrotti e corruttori che ancora proliferano
senza freni nell’Italia delle P3 e delle P4. Così potevamo leggere quasi
quindici anni fa: «Tangentopoli era un sistema, come tale aveva caratteri e
meccanismi propri che consentivano la celebrazione di alcuni riti tangentizi,
tre soprattutto: il Rito Ambrosiano e il Rito Emiliano. Nell’era di Mani Pulite
si è colpito solo il Rito Ambrosiano [ndr: la tangente propriamente detta]»; ed
inoltre: «La caratteristica del Rito Emiliano è data dal fatto che i soggetti
imprenditoriali che ne sono protagonisti vedono al proprio interno un ruolo
determinante di componenti partitiche. È il caso soprattutto delle imprese
cooperative che lavorano nel settore delle costruzioni e in particolare negli
appalti pubblici. Il rito mafioso [è quello] della tangente allargata e del
condizionamento della sub-contrattazione in un contesto nel quale la criminalità
organizzata esercita un controllo militare sul territorio».
Nel 2011 Cicconi è tornato sull’argomento
constatando che i corrotti e i corruttori, avendo preso atto dell’esperienza di
tangentopoli, si sono organizzati diversamente, e proprio con l’architettura
finanziaria della cosiddetta Alta velocità e delle “grandi opere”, hanno trovato
il modo per celebrare altri riti di fatto tangentizi, ma difficilmente
raggiungibili col solo reato di corruzione.
Era tutto scritto in quell’opera del 1997: il
“Libro nero dell’Alta velocità” rappresenta un aggiornamento di quel lavoro e
mostra come la previsione si sia realizzata con contorni ancora più perversi e
pervasivi rispetto a quanto immaginato.
Lo possiamo anche considerare il secondo
capitolo del precedente “Le grandi opere del Cavaliere”, dove Cicconi,
sintetizzando in maniera estremamente efficace le complesse vicende che hanno
visto complici boiardi di Stato, imprenditori furbastri e politici disinvolti,
ha reso ancor più intelligibili ai non addetti ai lavori cosa realmente è
avvenuto e avviene per gestione e per la costruzione delle grandi
infrastrutture.
Leggiamo a pag. 168, forse il brano che meglio
spiega il trappolone che questi signori hanno regalato ai cittadini, tra un
appello al progresso e un “ce lo chiede l’Europa” (salvo dimenticarsi di
ricordare che magari è la stessa Italia che chiede alla Ue – truffandola - di
dare corso a certi progetti): «La catena perversa, l’abbiamo visto, è sempre la
stessa: il committente pubblico affida in “concessione” la progettazione,
costruzione e gestione dell’opera pubblica ad una società di diritto privato
(SpA), ma con capitale tutto pubblico (TAV SpA appunto, ma pure Stretto di
Messina SpA o Quadrilatero SpA, per restare nell’ambito delle grandi opere). Ma
è proprio a carico di questo concessionario di diritto privato, il cui capitale
è tutto pubblico, che rimane il rischio della “gestione” e dunque del project
financing (debiti a babbo morto) adottato per la realizzazione dell’opera. La
SpA pubblica serve solo per millantare il finanziamento privato (prestiti o
prodotti finanziari garantiti dai soci pubblici della SpA) e per garantire al
contraente generale, che è il soggetto privato vero e proprio, il pagamento per
intero e subito del costo della progettazione e della costruzione, mentre
mantiene per sé (e cioè al pubblico) il rischio della gestione (ovvero i debiti
futuri). Siamo dunque all’esatto ribaltamento delle politiche keynesiane del
secolo scorso. Col modello TAV infatti, prima si consegnano i solidi e affari
alle imprese, e poi si chiede ai cittadini di ripianare il debito: un Keynes
alla rovescia, si dà ai ricchi e si fa pagare ai poveri».
Questa architettura finanziaria, tutta
italiana, ha preso le mosse prima da Cirino Pomicino e da Necci, ancora in
periodo pre-tangentopoli, e poi perfezionata da Lunardi con la Legge
obiettivo.
Lo specchio di un paese dove abbiamo avuto la
privatizzazione delle aziende pubbliche senza i privati e senza
liberalizzazioni, dove i faccendieri al servizio di interessi privati impazzano
con l’avvallo trasversale della politica e degli amministratori locali, e dove
proliferano grandi gruppi imprenditoriali che si caratterizzano per fare gli
imprenditori senza rischi.
Un’architettura truffaldina che fin dagli ’90
fu denunciata da Luigi Preti e Beniamino Andretta ed ai quali Cicconi dedica
diverse pagine, non fosse altro per mostrare la diversità di rigore morale
rispetto ai nostri attuali amministratori di destra e sinistra.
Significativo, ed indiretta risposta a coloro
che ancora magnificano l’indotto delle cosiddette grandi opere, un brano della
lettera che nel 1993 Preti inviò allarmato ad Andreatta, in previsione di quanto
si voleva imbastire per spolpare l’erario: “L’industria non si sviluppa con
questi lavori di costruzione, ma con imprese destinate a durare. D’altro lato,
dieci o quindicimila persone eventualmente impegnate per alcuni anni nei lavori
dell’Alta velocità sono ben piccola cosa sul fronte dell’occupazione. Senza
contare che altri lavori, intesi a mettere a posto tante linee ferroviarie in
pessime condizioni già esistenti, darebbero almeno lo stesso risultato” (pag.
37).
Qui è inevitabile ricordarmi un brano dal
recente libro di Simona Baldanzi, “Mugello
sottosopra”, quando i sindacalisti in quel di Pagliarelle promettevano così
di risolvere la precarietà del sud Italia: “Più buchi, più gallerie per tutti”.
Il tutto – mi cito - ricorda molto “Cchiù pilu pi tutti” di Cetto La qualunque,
che prometteva di “costruire un pilastro di cemento armato per ogni bambino che
nasce”.
Quello raccontato da Cicconi è un sistema in
perfetta sintonia con l’espressione “gelatinoso” riservata alla P4, che vede
complici nel saccheggio amministratori locali di destra e sinistra, leader
nazionali, imprenditori che finalmente possono fare soldi senza rischiare nulla
(si vedano le recenti proposte della Confindustria per “rilanciare” l’Italia),
ben protetti da un’informazione omissiva, giornalisti ed editorialisti non si sa
quanto in malafede o semplicemente disinformati, che ripetono come un mantra le
consuete parole d’ordine di progresso, sviluppo e via e via.
E’ quindi probabile che discutere di questi
argomenti dividendosi tra liberali amanti del progresso, gretti residenti
affetti da sindrome nimby, radicali massimalisti con pulsioni silvo-pastorali e
cavernicoli, non sia del tutto giustificato.
La verità è che questi signori, nel loro ruolo
di intermediazione parassitaria, se la sono studiata proprio bene, fin dalla
scelta del modello Tav francese, rispetto a quello svizzero e tedesco, al fine
di spendere il più possibile in opere superflue (e spesso devastanti per
l’ambiente), per arrivare poi a rimuovere i tratti più evidenti di illegalità,
prima nel riformare i reati di abuso d’ufficio e falso in bilancio, e poi
rendendo più difficile perseguire la corruzione col venire meno le qualifiche di
pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio nel mare magnum di
società di diritto privato e nel “sistema di istituti contrattuali con i quali
si privatizzano anche le funzioni della committenza pubblica”.
Cicconi ha scritto un libro di poco più di 180
pagine ed ognuna di queste è una storia di banditi e di saccheggio, a partire
dall’incredibile vicenda della Val di Susa per arrivare ai progetti monstre
nella rossa Emilia e nella rossa Firenze, alle cooperative, alle società
partecipate dove, malgrado i vani tentativi della magistratura amministrativa e
contabile di mettere un freno al banchetto, il magna magna non si ferma
mai.
Vicende paradossali, dove a fronte di un
presunto sviluppo e progresso, si sono persi invece l’ETR 500 ed abbiamo
ottenuto un’offerta squilibrata, un servizio locale - che poi rappresenta la
maggior parte della domanda - privo di investimenti in quanto meno sfruttabile
per mangiarci sopra, un debito pubblico nascosto che si prospetta sempre più
devastante, con buona pace dei presunti investimenti per il progresso e lo
sviluppo: “gli investimenti privati saranno banali prestiti, tutti garantiti
dallo Stato, che stiamo pagando e pagheremo per molti anni”.
Due sono le considerazioni che credo sorgano
spontanee alla fine delle centoottanta pagine.
Assodato che la nostra informazione, fatta più
che altro di editoriali che non fanno i conti con la realtà, e carente dal lato
della pura e semplice cronaca, dei fatti, coloro che proliferano in questo
sistema gelatinoso hanno tutto l’interesse a non replicare a quanto così
chiaramente esposto da Cicconi.
Se il nostro autore avesse scritto baggianate
avremmo almeno dovuto aspettarci smentite, querele e quant’altro. Repliche punto
su punto, sulla base dei dati e delle cifre riportate qui e altrove.
Invece nulla di nulla. Al più si ripete il
consueto mantra dello sviluppo, delle opere indispensabili, sorvolando sul
perché si scelgono i progetti più impattanti per l’ambiente e le casse dello
Stato, si replica sbrigativamente tacciando di massimalismo, di cavernicoli
coloro che contestano certe scelte.
Provate a leggervi un po’ di normativa, poi
fate una verifica delle dichiarazioni, soprattutto delle argomentazioni
giuridiche e tecniche di questi signori e ne riparliamo.
Abbiamo inoltre capito che Cetto La Qualunque
ha una famiglia molto numerosa.
Lui abita in Calabria, ma i suoi parenti
parlano con tutti gli accenti italiani: alcuni torinese, altri fiorentino –
magari li chiamano pure rottamatori - , altri ancora milanese, altri
laziale.
E comunque è una famiglia molto variegata anche
riguardo altri aspetti: alcuni dei La Qualunque si dicono berlusconiani, altri
sono democratici, altri si dicono riformisti, altri liberali, altri
progressisti.
Tutti però uniti da evidenti interessi in
comune, ovvero da quella gelatina così ben raccontata da Ivan Cicconi nel suo
libro.
Un’opera indispensabile per capire i meccanismi
che, tra mille millanterie e falsità, ben supportate da quei media che hanno
abdicato da tempo al loro ruolo, hanno reso i partiti “strutturalmente
catalizzatori di illegalità e ladri di risorse, ladri di democrazia e ladri di
futuro, ladri di tutto”.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Ivan Cicconi si è laureato in ingegneria
a Bologna dove vive e lavora. E’ autore di saggi e ricerche sul settore delle
costruzioni e sul tema degli appalti. Ha lavorato in diverse società di ricerca
ed è stato professore a contratto nelle facoltà di Architettura delle Università
La Sapienza di Roma e de Il Politecnico di Torino. E’ stato capo della
Segreteria Tecnica del Ministro dei Lavori Pubblici Nerio Nesi nella XIII
legislatura. Fino al 2007 è stato è direttore generale di NuovaQuasco, una
importante società di ricerca per la “Qualità degli appalti e la sostenibilità
del costruire”.
Attualmente è Presidente del Comitato di
Sorveglianza della Stazione Unica Appaltante della Regione Calabria, e di
Direttore dell’Associazione Nazionale ITACA, Istituto per la Trasparenza degli
Appalti e la Compatibilità Ambientale. Il suo libro più noto è “La storia del
futuro di tangentopoli” (1998), al quale è seguito “Le grandi opere del
Cavaliere” (2003).
Ivan Cicconi, Il libro nero dell’Alta velocità,
ovvero il futuro di tangentopoli diventato storia. Koinè nuove edizioni, Roma
2011, € 14,00
Recensione già pubblicata su ciao.it e qui
parzialmente modificata.
Luca Menichetti,
per Lankelot.
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