Il libro di Giugno...

                                       
“Preghiera per Cernobyl”
di Svetlana Aleksievic
Edizioni e/o. pagine 348 - euro 8.50.
                                                                 
La notte del 26 aprile 1986 una serie di esplosioni e il conseguente incendio distrussero il reattore e il fabbricato della quarta untà della centrale elettronucleare ucraina di Cernobyl'. Lo scoppio rilasciò nell'atmosfera un'enorme quantità di materiale radioattivo che, in particolare, ricadde per il 70% sul suolo della vicina Bielorussia. Alcuni dati di questo "incidente", il quale si configurò ben presto come un'immane catastrofe tecnologica, la più grave di ogni tempo e luogo, sono, per la sola Bielorussia: un quarto del territorio, sul quale vivono oltre due milioni di persone, contaminato; un quarto delle foreste e 1,8 milioni di ettari di terreni agricoli avvelenati dalla radioattività. Dopo i primi, reticenti, rapporti ufficiali, col passare degli anni sono apparsi anche in Urss, e poi nelle Repubbliche che ne hanno preso il posto, esaurienti analisi delle cause e responsabilità del disastro ed è stato celebrato l'eroismo dei vigili del fuoco, degli addetti della centrale, dei militari e della polizia, dei tecnici cosiddetti "liquidatori" (delle conseguenze dell'avaria) - tutte persone spesso mandate allo sbaraglio, senza adeguate direttive e cautele. Grazie a migliaia di articoli e decine di libri, fatti, nomi, cifre sono oramai noti. Nell'accingersi, a dieci anni dalla catastrofe e dopo tre anni spesi in conversazioni coi protagonisti e testimoni sopravvissuti di quell'evento, a dare alle stampe questo libro, la scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic si chiedeva: "Cosa possiamo aggiungere ancora a tutto ciò? Di che cosa parla questo libro?". E rispondeva. "Questo libro non parla di Cernobyl', ma del mondo di Cernobyl'. Proprio di ciò che conosciamo poco o nulla… La ricostruzione non degli avvenimenti, ma dei sentimenti". E così Svetlana Aleksievic ha dato voce, con decine e decine di interviste, a quel "popolo di Cernobyl'" composto di persone dalle professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi, donne, uomini, bambini e soldati, contadini e intellettuali, credenti e atei. Dice l'Autrice: "Cernobyl' è il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa dentro di loro, e anche attorno, e non solo la terra e l'acqua. Tutto il loro tempo". E poi: "L'uomo d'oggi si trova sulla linea di rottura di due epoche… Si sono combinate due catastrofi: l'una sociale, è colato a picco sotto i nostri occhi l'enorme impero socialista e l'altra cosmica, Cernobyl'. Due esplosioni globali". E infine: "Più di una volta (viaggiando, conversando, prendendo appunti) ho avuto l'impressione che in realtà stessi annotando il futuro". Ma non è un futuro desolato, senza speranza. Le potenti "cronache" di Svetlana Aleksievic cercano e riescono a restituirci con veridicità e maestria il mondo interiore di donne e uomini i quali, sconvolti" e forse distrutti dagli epocali eventi, hanno tuttavia raccolto la sfida di cui pure parla l'Autrice: "dire parole nuove… un testo ancora a tutti sconosciuto". Sono parole ed è un testo che superano la mera contemplazione di eventi atroci, e che spesso, vincendo l' "ipnotismo della sofferenza", trovano lo slancio per comporsi in straordinarie pagine di amore e incontro con l'altro. Si vedano a questo proposito i due racconti, posti all'inizio e alla fine del libro con l'identico titolo "Una voce solitaria", due storie femminili di intensità quasi insostenibile; e questa piccola chiusa, con le parole di una contadina tornata a vivere senza autorizzazione in quella sua casa contaminata che è per lei l'unico mondo possibile: "Tu, Svetocka, non prendere nota di quello che ti racconto, e non comunicarlo alla gente. Sono cose che è impossibile comunicare. Io te le racconto soltanto perché io e te si possa piangere un poco insieme. E perché, andando via, tu ti volti a guardare la mia casetta non una volta, ma due…".

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