Il film del mse...


“Un giorno devi andare”
di Giorgio DIRITTI.

Recensione a cura di Domenico CENA.

Giunto al suo terzo lungometraggio, Giorgio Diritti, classe 1959, regista bolognese allievo di Olmi e già collaboratore di Pupi Avati, conferma ancora una volta di essere un autore assolutamente originale, in qualche modo atipico nel panorama del cinema italiano attuale.
Originalità che era emersa chiaramente già dal film d’esordio, il celebrato “Il vento fa il suo giro”, ambientato in una isolata comunità delle Valli Occitane del Cuneese, la cui vita viene sconvolta dall’arrivo di un corpo estraneo, una famiglia originaria dei Pirenei francesi, che fa emergere tutte le contraddizioni e i conflitti latenti al suo interno. Anche il secondo film, “ L’uomo che verrà”, era ambientato in un contesto montano, l’Appennino bolognese, sconvolto anch’esso dall’irruzione violenta della guerra, che ne spezza per sempre i ritmi e le consuetudini ancora legate alla natura, costringendo i suoi abitanti a fare i conti con le tragedie della storia.
Il terzo film, “Un giorno devi andare”, appena uscito nelle sale e accolto con scarso entusiasmo sia dal pubblico che dalla critica, riprende i temi cari al regista e cerca di approfondirli, allargando lo sguardo già dall’ambientazione. Se da una parte, infatti, abbiamo ancora delle località di montagna, un piccolo e  appartato monastero sulle montagne del Trentino, dall’altra il regista ci porta all’estremo opposto, negli sconfinati paesaggi acquatici della foresta amazzonica  e dei fiumi che la percorrono fino al mare.
La comunità ospite del monastero, formata da sole donne, vive isolata nel ripetersi dei suoi riti quotidiani ormai logori ed estenuati, incapaci di generare una nuova linfa vitale in grado di rinnovarla. Di qui partono una delle suore e una giovane donna che ha subìto recentemente un grave trauma, per svolgere attività missionaria nelle regioni amazzoniche del Brasile. La giovane, Augusta, interpretata da Jasmine Trinca, non approva però i metodi adottati dalla suora per evangelizzare gli indios della foresta, torna da sola a Manaus e va a vivere in una favela, cercando di inserirsi nella comunità che la abita. Costretta a constatare come anche qui siano giunti gli influssi inquinanti e corruttori di una società distruttiva e annientante basata sui consumi, sceglie una soluzione estrema che, apparentemente, la aiuta a ritrovare una vita pacificata con gli altri e con se stessa. Prima, però, fa in modo che una delle donne della favela parta per il monastero trentino, in una sorta di scambio esistenziale e culturale dagli esiti incerti.
Nel film si ritrovano tutti i temi cari al regista bolognese, a partire da quelli derivati dal maestro Olmi, relativi al mondo ancora legato ai cicli della natura e al senso del sacro che  lo regola, con gli effetti  distruttivi provocati dal venire a contatto con la “civiltà” e la storia. Ma Giorgio Diritti riprende questi temi da una prospettiva originale, come dimostra lo sguardo critico nei confronti dei modi della religiosità tradizionale, la condanna di una società incapace di rinnovarsi, chiusa nei suoi riti, incapace di trasmettere qualcosa agli altri e di capire che cosa potrebbe ricevere da loro. In definitiva, di trovare un senso che le permetta di avere un futuro.

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