“Bella Addormentata”
di Marco Bellocchio.
Recensione a cura di DOMENICO
CENA
Anche in
questo suo ultimo film, Marco Bellocchio rimane fedele a se stesso, alla
reputazione di regista ostico e scomodo, sempre controcorrente, che si è creato
fin dall’inizio con gli ormai mitici “I pugni in tasca” e “La Cina è vicina”. E, come
sempre, una tale coerenza gli costa assai cara, come dimostra l’ormai abituale
scarso successo dei suoi film nei vari festival in cui vengono presentati, anche
quelli più prestigiosi, quali il Festival di Venezia.
“Bella
addormentata”, in realtà, è un film meno riuscito rispetto all’autentico
capolavoro che era il film precedente, “Vincere”, che raccontava l’ascesa al
potere del giovane Mussolini vista con gli occhi di Isa Dalser, la donna prima
amata, poi respinta e segregata con fredda indifferenza.
Anche qui,
però, l’intento è quello di scavare a fondo nella nostra società, di analizzarne
tutti gli aspetti e le contraddizioni più profonde, partendo non più dalle
radici storiche, ma dall’attualità, quella più scottante e che crea contrasti
insanabili e irriducibili conflitti, come il caso di Eluana Englaro.
Ma il “caso
Englaro” è solo il pretesto, l’occasione che porta alla luce le contraddizioni
latenti. Così Bellocchio, inserendosi nel filone del docufilm, cioè del film che
combina documentario e finzione, parte dalle immagini televisive del febbraio
2009, quando Eluana, su richiesta del padre, dopo diciassette anni di coma
profondo, viene trasportata in una clinica di Udine, dove verrà interrotto il
trattamento che la tiene artificialmente in vita. Siamo cioè al momento
culminante dello scontro tra due diverse Italie, con princìpi e certezze
apparentemente inconciliabili.
A questo piano
documentaristico, si intrecciano quattro storie di fiction, che rappresentano
quattro vicende private, per molti versi opposte tra loro, messe in crisi
dall’avvenimento pubblico. Così abbiamo il senatore del Pdl (interpretato
magistralmente, come sempre, da Toni Servillo) che accorre a Roma per votare il
decreto voluto dal governo Berlusconi per impedire il trasferimento a Udine di
Eluana e, per coerenza con se stesso, decide di non votare il provvedimento.
Maria, sua figlia, invece, raggiunge la clinica per manifestare contro
l’interruzione del trattamento, ma, arrivata lì, le sue convinzioni verranno
messe in crisi da un incontro inatteso. Intanto, il dottor Pallido (interpretato
da Pier Giorgio, il figlio di Bellocchio) lotta con tutte le sue forze per
impedire a Rossa, una attraente tossicodipendente, di suicidarsi. E infine c’è
la diva del cinema (anche qui, una splendida Isabelle Huppert) che si aggrappa
ad una fede egoistica e assoluta nella vana speranza di far uscire la propria
figlia dal coma, fede che però paga a caro prezzo.
Si tratta di
situazioni estreme, ma per nulla convenzionali. Siamo cioè al secondo livello,
quello del privato, che sta sotto, o va di pari passo, con pubblico, il
politico. Se il pubblico si manifesta con le immagini dei media espressione del
potere (specie la tv), il privato si esprime soprattutto attraverso i
sentimenti, cioè il melodramma. E infatti qui entrano in scena l’amore, quello
adolescenziale, ma anche quello coniugale e paterno. E anche il dubbio,
l’incertezza, lo smarrimento, insomma, tutti i vari sentimenti che
caratterizzano la nostra vita. Ed è
partendo di qui che si potrebbe trovare una soluzione ai conflitti. In questo
senso si spiega la frase di Maria, la figlia, citata spesso dai critici anche
con una evidente ironia: "L'amore cambia il
modo di vedere le cose".
Bellocchio
è probabilmente uno dei pochi registi, se non l’unico, almeno in Italia, che
riesce a tenere insieme i due piani, il pubblico e il privato e lo fa senza
retorica, con una intelligenza e uno sguardo capaci di andare al di là delle
convenzioni e degli stereotipi di ogni tipo.
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