TORINO - L’ultimo lo hanno ammazzato con cinque colpi di pistola, tre piantati
direttamente nel volto, sparati da un metro. Domenico Galea, originario
di Siderno, era un pregiudicato e la sua morte sarebbe riconducibile ad
uno sgarro che avrebbe fatto nei confronti di Giuseppe Maviglia e
Roberto Comperatore, a cui avrebbe rifilato del semplice sale da cucina
al posto di una partita di cocaina. A ben vedere una storia che fa acqua
da tutte le parti, perché il livello criminale dei personaggi coinvolti
tenderebbe ad escludere dinamiche buone per la truffa in autostrada.
La
recente storia della criminalità organizzata torinese si allaccia con
il fiume di denaro pubblico arrivato in questi anni sulla città che fu
della Fiat. Fatta fuori la grande fabbrica nell’entusiasmo generale è
rimasto solo il territorio da depredare attraverso la cementificazione,
correlata a piani quinquennali di riqualificazione urbana, oppure a
grandi eventi, leggi alla voce olimpiadi. Così la metastasi
ndranghestista che da almeno quaranta anni vivacchiava in città si è
trasformata in una massa tumorale che sta conducendo Torino alla morte.
Gli intrecci tra politica, affari, criminalità, imprese e poteri
finanziari non lascia scampo. E se tutto questo è unito ad una attività
di controllo blanda, vedi alla voce Olimpiadi, il quadro è presto fatto.
Certo esiste l’operazione Minotauro conclusasi con
cinquantotto condanne, con pene fino a 13 anni e sei mesi in rito
abbreviato. Il coperchio del vaso di Pandora, si pensava all’inizio
dell’operazione. Ma poi tutto si è incardinato sui nomi che erano usciti
mentre il sistema non è venuto meno. Certo hanno pagato politici, ma si
tratta pur sempre di seconde linee che potevano avere potere a livello
locale presso piccoli Comuni, ma nulla più. Rimane inascoltata la
domanda che caratterizza le inchieste di questo tipo da sempre in
Italia: quali relazioni tra gli scagnozzi che sparano e spacciano e la
politica alta? E il potere finanziario? La Commissione Parlamentare
Antimafia ha spiegato in parte quale fosse, anzi sia, a Torino
l’organizzazione che dirigeva le operazioni a Torino ed in generale nel
nord ovest. Gruppi criminali provenienti dal cosiddetto triangolo della
morte Luca-Platì-Africo, erano trapiantati da decenni, e grazie ad una
specie di riproduzione per mitopoiesi aveva ramificato il suo controllo
un po’ ovunque.
Leggenda vuole che ogni singolo comune torinese
abbia la sua cellula di riferimento che controlla la cementificazione
del territorio nel caso dei piccoli comuni, droga, racket e riciclaggio
politico nel caso dei centri maggiori.
Testimone chiave nel processo Minotauro,
è stato Rocco Varacalli che, durante una impressionante puntata di
Report, raccontava quali parti della “nuova” Torino fossero state
edificate direttamente dalle ndrine. Varacalli sosteneva che in
particolare gli appalti olimpici erano stati pesantemente infiltrati.
Oggi questo personaggio, salito agli onori della cronaca per le sue
parole che hanno rotto un silenzio omertoso granitico, caratteristico
dell’organizzazione criminale originaria della Calabria, è scomparso da
circa un mese. Varacalli, che non era detenuto, si è allontanato di sua
volontà, ovvero è evaso, oppure è stato ucciso per vendetta? Oppure
potrebbe essersi suicidato, come è accaduto a Giuseppe Catalano, tra i
più importanti esponenti della ‘ndrangheta torinese che in concomitanza
con l’acuirsi dell’operazione Minotauro si è lanciato dalla finestra
della sua villa di Volvera, dove si trovava agli arresti domiciliari ed è
morto. Catalano e Galea erano dello stesso paese: Siderno.
Delinquenti
comuni, politici che raccolgono voti nella comunità calabrese (le
intercettazioni al riguardo sono impressionanti e par di capire che
masse imponenti di uomini liberi possano a comando muoversi come un sol
uomo) ed alta velocità. Un avvocato torinese che segue vicende legate
alla criminalità organizzata, racconta: «Vi sono similitudini tra la
trattativa Stato-mafia del 1992 ed il cantiere dell’alta velocità in val
Susa. Le istituzioni – sostiene sempre l’avvocato che chiede
l’anonimato – non possono indietreggiare sul progetto perché sono sotto
ricatto da parte della criminalità organizzata che vuole a tutti i costi
entrare dentro gli appalti. Se il Tav non viene costruito questi
semplicemente iniziano a sparare».
Esagerazioni? Chissà, certo la
storia criminale presente in val di Susa, basti pensare a Bardonecchia,
primo Comune del nord Italia ad essere sciolto per mafia negli anni
novanta, non dà sicurezza. Ed il rischio infiltrazione è così elevato
che è stato prodotto un protocollo di intesa tra Prefettura di Torino e
sindacati per prevenire l'infiltrazione della criminalità organizzata
per i lavori del Tav a Chiomonte, ovvero nel cosiddetto cunicolo
esplorativo.
Maurizio Pagliassotti (controlacrisi.org)
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