A proposito di industria, occupazione e agricoltura... intervsita ad un "giovane-vecchio" chivassese...

SPERO CHE L'INTERESSATO NON SI OFFENDERA', MA NON RESISTO PIU' ALLA TENTAZIONE DI PUBBLICARE QUESTA BOZZA DI UNA EVENTUALE FUTURA INTERVISTA. Per almeno due ragioni: 1) agli ambientalisti, anche a Chivasso, di rimprovera a volte di opporsi a opere che porterebbero occupazione: siamo cioè sollecitati, oltre alle denunce, a fare proposte; 2) alcune liste, tra cui M5Stelle. SeL e Bene Comune, se non sbaglio, hanno parlato in campagna elettorale di agricoltura: ma questa bozza di intervista è molto concreta, ricorda fatti precisi e indica direzioni altrettanto precise, ...o no?
MI SEMBRA UNA PROPOSTA CHE GLI AMBIENTALISTI CHIVASSESI DOVREBBERO CONSIDERARE ATTENTAMENTE. NON SO CHE NE PENSATE.
INTERVISTA AD UN GIOVANE VECCHIO CHIVASSESE.
Ma quale industria nel futuro di Chivasso? In Italia l’industria non esiste più e sarebbe fatica vana cercare di “attirare” fabbriche a Chivasso, come quasi tutti dicevano in coro in campagna elettorale. Invece, il futuro della nostra città consiste nel recupero e nel rilancio delle due attività che l’hanno reso prospera per tanto tempo: l’agricoltura (in particolare l’orticoltura) e il commercio. A cui va aggiunta l’industria di trasformazione dei prodotto agricoli.
In mille anni di vita, Chivasso è stata una città industriale per soli 20 anni, quelli della Lancia. Chivasso è stata sempre un crocevia di traffici, un incontro di aree, il luogo verso cui gravitavano economicamente parte del Monferrato, il Basso Vercellese, una porzione di Canavese, ecc.
Il terreno fertile alimentava una grande e diversificata produzione di ortaggi: il pregiato pomodoro di Chivasso, fagioli, piselli, patate, rape, ravanelli, peperoni, cipolle, cipollotti, arachidi, zucchini, tante varietà di insalata…Vi ricordate il cardo gobbo, coltivato nelle terre sabbiose e umide della Quiete? Gli orti si trovavano ovunque, anche se alcune zone, come la “Corona” (che comprendeva la Quiete o Brozola e tutta l'area vicino a Stradale Torino) vi erano particolarmente vocate. Ma gli orti si trovavano anche nelle frazioni, dove si praticava inoltre l’allevamento del bestiame e la coltivazione del grano e del foraggio. Non è un caso che l’attuale Pro Loco L’Agricola un tempo si chiamasse L’Agricola e basta.
La produzione alimentava una notevole industria di trasformazione: la Sacco, ad esempio, inscatolava i prodotti degli orti e produceva una ottima conserva, quella che oggi è la Salsa Rubra della Cirio (non a caso l’etichetta reca la scritta “antica ricetta piemontese”).
Ma, soprattutto, la produzione agricola e orticola alimentava i mercati: la “fiera” del mercoledì e il mercato dei “giardiné” del fine settimana. Ovviamente, al mercato di Chivasso arrivano anche gli ortaggi e la frutta di altre zone, come le pesche di vigna del Monferrato e quelle di Borgo d’Ale e Alice Castello. E il giovedì c’era il mercato delle granaglie: vi si vendeva anche il riso del vicino Vercellese.
Il mercato ortofrutticolo attirava a Chivasso gli abitanti delle zone circostanti, ma faceva da volano al resto del commercio. Chi veniva da fuori al nostro mercato ne approfittava per fare acquisti nei negozi di ogni categoria: abiti, scarpe, materiale elettrico, cancelleria, pezzi di ricambio auto, ferramenta, ecc. E persino la pasticceria, che qui era una produzione di eccellenza: qui sono nati i nocciolini. E dobbiamo aggiungere gli esercizi che allora venivano chiamati i “coloniali”, perché in origine vendevano caffè, zucchero, spezie, ma poi divennero venditori all’ingrosso di alimentari conservati.
Ma l’attività commerciale di Chivasso non si fermava qui: la città ospitava il grande mercato del bestiame del martedì. Gli animali arrivavano da tutta Italia (bufale della Maremma, asinelli della Sardegna, i cavalli del Cuneese) e anche da altri paesi, come le mucche della Jugoslavia. Il bestiame arrivava a Chivasso già la domenica sera, era ospitato nei numerosi stallaggi con albergo (il Sole, la Verna, il Campanile, ecc.), veniva fatto riposare il lunedì, per poi venire messo in vendita il martedì. Il martedì la città era affollatissima, e questo faceva la ricchezza di negozi e ristoranti.
C’erano poi produzioni favorite dalla felice posizione geografica di Chivasso come centro di un vasto bacino. Ad esempio, c’erano numerose distillerie, che lavoravano l’uva e le vinacce del vicino Monferrato. Ricordo il nome di alcune distillerie: Capella, Parigi, Levi. Producevano grappa, rum, vermouth, fernet, ecc. Anche quella delle distillerie era una produzione di alta qualità (si pensi al liquore nocciolino) e innovativa (mi ricordo la camomilla al liquore).
E, poiché una attivita economica tira l’altra, c’erano le fabbriche tessili come la Gallo e, in Via Mazzé, quella della “frisa” (lenzuola, fazzoletti). E il pastificio Ferro. E la fabbrica della gomma in Via Caluso, che produceva guarnizioni. E il salumificio Salca dei Sarasso.
Potemmo proseguire per ore, ma fermiamoci qui e cerchiamo di trarre delle indicazioni per il presente e il futuro della città. Oggi una amministrazione comunale antiveggente dovrebbe stimolare la nascita di una agricoltura ispirata al principio del “kilometro zero”. Per far questo occorre mettere insieme una pluralità di soggetti e fattori. Il Comune dovrebbe stimolare la nascita di cooperative agricole e di trasformazione. Dovrebbe cercare di mettere a loro diposizione i terreni di proprietà comunale, e cercare altri terreni agricoli e oggi incolti, da affittare o di cui disporre in base ad una convenzione. Inoltre, il Comune potrebbe fornire il capitale iniziale necessario per avviare l’attivività delle cooperative.
E i soldi dove li trovi?
Ci sono finanziamenti europei che l’Italia non sfrutta nemmeno: anche qui l’amministrazione comunale dovrebbe farsi parte attiva nella ricerca dei finanziamenti.
Però per coltivare ortaggi bisogna saperlo fare.
Ovviamente agricoltori non ci si improvvisa, ma si possono cercare consulenti, ad esempio presso l’Istituto scolastico agrario di Caluso. Inoltre le cooperative dovrebbero dotarsi di tecnologie innovative, come le serre a energia solare.
Ma le cooperative riescono a sopravvivere?
Le cooperative non dovrebbero limitarsi alla coltivazione, ma puntare anche alla attività di trasformazione del prodotto. E inoltre devono associarsi in consorzi per la commercializzazione dei prodotti.
La prospettiva in cui muoversi è l’agricoltura a kilometro zero, che presenta numerosi vantaggi: 1) consente un miglior controllo della qualità; 2) produca a minor costo; 3) riduce il trasporto di alimentari da lontano, anche dall’estero, che produce inquinamento e consuma carburante sempre più raro e costoso; 4) una maggiore varietà dei prodotti; 5) la rimessa a coltura dei terreni agricoli, altrimenti destinati a rimanere incolti o a diventare preda dei cementificatori.
Tommaso LOCCHI.

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