La Grecia non insegna nulla ai fautori della TAV, i quali continuano a raccontar balle e a non rispondere alle domande di merito...
L’accusa più falsa che viene veicolata dal gigantesco network in mano ai poteri forti, riguarda la “perdita” di 670 milioni di finanziamento europeo per realizzare la grande opera causata dalla cecità dei movimenti. Pochi giorni fa sul manifesto, Marco Revelli ha ribadito la verità: se si accetta di prendere il modesto finanziamento si perderanno i 20 miliardi di euro necessari a costruire una gigantesca e inutile grande opera.
20 miliardi di dollari è l’ammontare del debito contratto da Atene per coronare il grande sogno di perseguire la grande opera per eccellenza: le Olimpiadi che si svolsero nel 2004. Era il 1997 quando la capitale greca avanzò la candidatura e in breve tempo si creò il comitato d’affari necessario al raggiungimento del sogno. Grandi banche pronte a finanziare il debito, grandi imprese europee pronte a accaparrarsi i ghiotti appalti finanziati a debito con i soldi pubblici. Il fallimento economico dell’evento fu devastante. Le prime stime del 1997 parlavano solo di 1, 3 miliardi di dollari. Qualche anno dopo, il costo era quadruplicato, salendo a 5 miliardi. A consuntivo sono stati spesi 20 miliardi di euro. Alcuni economisti parlano di una voragine ancora maggiore. Dietro al sogno si nascondeva un incubo.
Le città -in quel caso la meravigliosa Atene- e i territori –in questo caso la val di Susa- sono diventati feudi di proprietà di un ristretto gruppo di istituti di credito, di grandi imprese, di società di rating pronte a seminare il panico sui mercati finanziari. Finanziano la spesa pubblica, se ne impadroniscono -guadagnando fiumi di denaro- e poi chiedono il conto all’intera società. In questi giorni sono stati concessi alla Grecia dall’Unione Europea 120 miliardi di euro di prestiti (il 20% circa serve per sanare il buco olimpico, dunque), e il motivo principale del prestito è che le banche europee rischiavano altrimenti di perdere parte del credito. Con la dilazione del credito riprenderanno i loro soldi e metteranno in vendita un’intera nazione.
La val di Susa sta dimostrando con studi concreti che il fallimento economico della realizzazione della Tav è certo. Non potranno esserci ritorni in termini di passeggeri perché il bacino d’utenza è oggettivamente ristretto. Non potranno esserci ritorni per il transito merci sia perché è dubbio che venga realizzata la linea ad alta capacità, sia perché in Svizzera sono già meglio attrezzati di noi. Nel caso dunque che l’opera andasse avanti per la cecità di chi ci governa e di un opposizione parlamentare culturalmente annientata, tra poco più di un decennio l’intero paese sarà costretto a pagare il debito che avremo contratto per finanziare le imprese e le banche che tengono in ostaggio il nostro ceto politico.
La battaglia della val di Susa assume dunque un valore straordinario. Azzerare l’opera significa risparmiare un fiume di soldi che potrà essere dislocato su altre poste di bilancio. Dal sostegno all’economie locali, ai progetti di messa in sicurezza del territorio e delle città, alla realizzazione dei servizi sociali che ancora mancano lì e in tante altre valli. Altre imprese beneficeranno dei finanziamenti oggi indirizzati solo a quelle poche che controllano il mondo dell’informazione. Un’altra agenda di lavoro, dunque: da un'unica inutile grande opera a tante piccole opere che nel loro insieme fanno un grande progetto di sviluppo. Il territorio come bene comune.
E di fronte a questa sfida, fa pena dover leggere il commento su quanto accade in val di Susa da parte del sindaco di Torino che ha affermato che essere contro la Tav è segno di “regressione culturale”. Parla per se stesso, ovviamente, e per coloro che ancora fanno finta di credere nella favola che le grandi opere portano sviluppo. Portano invece il mostruoso debito che oggi strozza la Grecia. Devono evidentemente nascondere quanto sta oggi avvenendo con spirito bipartisan. Quando Atene vinse la “sfida” olimpica che avrebbe contribuito al collasso economico del paese ellenico aveva di fronte la candidatura della Roma guidata dal centro sinistra. Non contento dello scampato pericolo, in questi ultimi due anni il sindaco Alemanno ha nuovamente candidato la città per le Olimpiadi del 2020 e maggioranza dell’opposizione capitolina rappresentata dal Pd non ha fatto battaglia. Anche ora che le intercettazioni telefoniche a carico di Bisignani e soci svela l’intreccio vergognoso degli interessi e delle speculazioni da parte di coloro che cantavano le lodi della candidatura, prima fra tutti l’Unione degli industriali laziale.
Evidentemente una parte della sinistra è ormai incapace di rompere la subalternità culturale con cui ha guardato alla globalizzazione e il futuro sta nell’intelligenza collettiva della val di Susa.
20 miliardi di dollari è l’ammontare del debito contratto da Atene per coronare il grande sogno di perseguire la grande opera per eccellenza: le Olimpiadi che si svolsero nel 2004. Era il 1997 quando la capitale greca avanzò la candidatura e in breve tempo si creò il comitato d’affari necessario al raggiungimento del sogno. Grandi banche pronte a finanziare il debito, grandi imprese europee pronte a accaparrarsi i ghiotti appalti finanziati a debito con i soldi pubblici. Il fallimento economico dell’evento fu devastante. Le prime stime del 1997 parlavano solo di 1, 3 miliardi di dollari. Qualche anno dopo, il costo era quadruplicato, salendo a 5 miliardi. A consuntivo sono stati spesi 20 miliardi di euro. Alcuni economisti parlano di una voragine ancora maggiore. Dietro al sogno si nascondeva un incubo.
Le città -in quel caso la meravigliosa Atene- e i territori –in questo caso la val di Susa- sono diventati feudi di proprietà di un ristretto gruppo di istituti di credito, di grandi imprese, di società di rating pronte a seminare il panico sui mercati finanziari. Finanziano la spesa pubblica, se ne impadroniscono -guadagnando fiumi di denaro- e poi chiedono il conto all’intera società. In questi giorni sono stati concessi alla Grecia dall’Unione Europea 120 miliardi di euro di prestiti (il 20% circa serve per sanare il buco olimpico, dunque), e il motivo principale del prestito è che le banche europee rischiavano altrimenti di perdere parte del credito. Con la dilazione del credito riprenderanno i loro soldi e metteranno in vendita un’intera nazione.
La val di Susa sta dimostrando con studi concreti che il fallimento economico della realizzazione della Tav è certo. Non potranno esserci ritorni in termini di passeggeri perché il bacino d’utenza è oggettivamente ristretto. Non potranno esserci ritorni per il transito merci sia perché è dubbio che venga realizzata la linea ad alta capacità, sia perché in Svizzera sono già meglio attrezzati di noi. Nel caso dunque che l’opera andasse avanti per la cecità di chi ci governa e di un opposizione parlamentare culturalmente annientata, tra poco più di un decennio l’intero paese sarà costretto a pagare il debito che avremo contratto per finanziare le imprese e le banche che tengono in ostaggio il nostro ceto politico.
La battaglia della val di Susa assume dunque un valore straordinario. Azzerare l’opera significa risparmiare un fiume di soldi che potrà essere dislocato su altre poste di bilancio. Dal sostegno all’economie locali, ai progetti di messa in sicurezza del territorio e delle città, alla realizzazione dei servizi sociali che ancora mancano lì e in tante altre valli. Altre imprese beneficeranno dei finanziamenti oggi indirizzati solo a quelle poche che controllano il mondo dell’informazione. Un’altra agenda di lavoro, dunque: da un'unica inutile grande opera a tante piccole opere che nel loro insieme fanno un grande progetto di sviluppo. Il territorio come bene comune.
E di fronte a questa sfida, fa pena dover leggere il commento su quanto accade in val di Susa da parte del sindaco di Torino che ha affermato che essere contro la Tav è segno di “regressione culturale”. Parla per se stesso, ovviamente, e per coloro che ancora fanno finta di credere nella favola che le grandi opere portano sviluppo. Portano invece il mostruoso debito che oggi strozza la Grecia. Devono evidentemente nascondere quanto sta oggi avvenendo con spirito bipartisan. Quando Atene vinse la “sfida” olimpica che avrebbe contribuito al collasso economico del paese ellenico aveva di fronte la candidatura della Roma guidata dal centro sinistra. Non contento dello scampato pericolo, in questi ultimi due anni il sindaco Alemanno ha nuovamente candidato la città per le Olimpiadi del 2020 e maggioranza dell’opposizione capitolina rappresentata dal Pd non ha fatto battaglia. Anche ora che le intercettazioni telefoniche a carico di Bisignani e soci svela l’intreccio vergognoso degli interessi e delle speculazioni da parte di coloro che cantavano le lodi della candidatura, prima fra tutti l’Unione degli industriali laziale.
Evidentemente una parte della sinistra è ormai incapace di rompere la subalternità culturale con cui ha guardato alla globalizzazione e il futuro sta nell’intelligenza collettiva della val di Susa.
Paolo Berdini.
9 commenti:
Mi rendo conto che continuo a ripetermi: con questi partiti e questi politici sprofonderemo sempre più nella melma. Un tentativo di riscatto puo' effettuarsi solo puntando sui Movimenti.
epperò restiam una repubblica parlamentare (alemno formalmente) senza una rappresentanza partitica non si schioda. Prendi berlusconi (ma potresti tranquillamente sostituire il PD) se non c'è una maggioranza parlamentare che lo butta fuori, resta dov'è. COme possono i movimenti risolvere questa situazione?
Saturnino
Andando a prenderli tutti e buttandoli giù dalla finestra (da B. a Bersani).
Perché il Centro Otelli non organizza subito una manifestazione chivassese contro la manovra. Anche in pochi, non importa. Importa dare un segnale di reazione, mentre la cosiddetta opposizione parlamentare si appresta nei fatti a lasciar passsare la manovra.
Siamo una "repubblica parlamentare"? Ovvero una specie del genere "democrazia"? L'Italia è ancora una democrazia? L'Unione europea è un orgamismo democratico? Trichet l'abbiamo eletto noi?
Parliamone, anche un piccolo segnale nella settimana di Ferragosto potrebbe essere utile.
Frd-
Ma davvero c'è ancora qualcuno che pensa che le decisioni che contano vengano prese in parlamento? Che i parlamentari si occupino degli interessi di chi li ha eletti? Vi dice niente il fatto che l'unico punto in comune del programma di chi governa e di quello delle opposizioni siano le privatizzazioni? Che ambedue gli schieramenti siano molto prudenti prima di parlare di tassazione delle rendite finanziarie (con delle aliquote molto inferiori a quelle di un qualsiasi lavoratore dipendente o pensionato)?
Davvero pensate che la nostra attuale dempocrazia sia quella che volevano i morti della resistenza, o i padri costituenti?
doc
abbiamo un parlamento di facciata, con deputati che pensano solo alla propia poltrona. ma resta l'organo che decide. Certo lo fa su ordine del capo (e le ripetute fiducie lo confermano) ma resta formalmente l'unico organo che decide. Possiamo raccontarci che i movimenti possano far cadere Berlusconi, ma anche ammesso che questo succeda (e fino ad ora non è mai capitato) il sostituto chi sarebbe, il PD? certo che è necessario lavorare dal basso, ma se non si riecse a costruire anche una forza politica (e di conseguenza che abbia una presenza partitica) non penso che sia possibile uscire dal cul de sac nel quale siamo piantati. o qualcuno pensa che sia prevedibile una rivoluzione non violenta in italia? o che sia possibile una violenta? e dove sono i soggetti politici che possono dare corpo a queste iniziative? Penso che sia necessario porsi un problema di rappresentanza che possa dare forza ai movimenti anche sul livello istituzionale. E non credo che la frammentazione aiuti in questo. prendiamo esempio dai tedeschi che sono riusciti a costruire un partito unitario, pur riunendo anime diverse. altrimenti saremo sempre in difesa.
Saturnino
Anche nei paesi arabi del Nordafrica, fino a qualche tempo fa, nessuno si sognava che potesse avvenire un cambiamento dal basso. Secondo me, occorre continuare a lavorare dal di fuori dei partiti, sull'onda del movimento dei referendum e di altri movimenti in atto (vedi Notav) per arrivare a dei veri cambiamenti. Certo non domani, forse. Ma neanche i partiti sono riusciti finora a mandare a casa il nostro pres. del cons. e senza una forte spinta dal basso non ci riusciranno mai.
doc
certo che senza spinta dal basso non si cambia. ma il pronlema della presenza iistituzionale si pone. proprio le rivolte arabe dimostrano che senza una presenza a tutti i livelli il vecchio ritorna. la politica è fatta di spazi di rappresentanza che se non si copriono vengono riempiti dal d'alema o dal vendola di turno. meditate.
Saturnino
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