L’autogol di Giuliano Pisapia...

L’autogol di Giuliano Pisapia (non della signora Moratti)...

Non Letizia Moratti, ma il candidato del centrosinistra alla carica di sindaco di Milano ha forse fatto un autogol: ha nascosto la parte migliore della sua pluridecennale esperienza politica, cioè essere stato da giovane un anticapitalista.
A quanto sembra, negli anni Settanta Pisapia ha fatto parte del movimento studentesco e di qualcuno (non so quale) dei tanti gruppi politici che, nati dopo il Sessantotto, avevano  una caratteristica comune: erano contro il capitalismo. Preciso di parlare dei gruppi degli anni Settanta che furono definiti della “sinistra extraparlamentare”, non di quelli che successivamente praticarono la lotta armata. I gruppi della sinistra extraparlamentare (il manifesto, Lotta Continua, Avanguardia operaia da cui nacque Democrazia proletaria) individuavano nel capitalismo la causa dei mali della società che essi denunciavano. Avevano ragione? Sì, ora sappiamo che avevano ragione. Ora lo sappiamo, dopo che il trentennio della riconquista capitalistica della società (dagli anni Ottanta ad oggi) ha prodotto il disastro economico, sociale e ambientale che è sotto gli occhi di tutti. Allora, negli anni Settanta, l’anticapitalismo poteva apparire agli osservatori non simpatetici un residuo del passato, un anacronismo, un articolo di antiquariato, più il frutto di astratte letture di antichi testi (l’ottocentesco Karl Marx) che di una reale conoscenza della società contemporanea. Eravamo ancora nel clima dei “trent’anni gloriosi”, quelli dal 1945 al 1975, durante i quali il capitalismo era stato imbrigliato, contenuto, incivilito dalla potenza del movimento operaio e dei suoi partiti. Il capitalismo aveva accettato il “compromesso socialdemocratico”: il movimento operaio rinunciava alla rivoluzione, al tentativo di abbattere il capitalismo, e in cambio otteneva miglioramenti considerevoli delle condizioni di vita, quelli garantiti dal Welfare State (sanità pubblica, pensioni, aumenti salariali, miglio condizioni di lavoro, in Italia lo “statuto dei lavoratori”, ecc).  Che senso poteva avere il sogno della rivoluzione? Poi i trent’anni gloriosi sono finiti, ed è iniziata la restaurazione capitalistica, personificata in politica  da Reagan e Thatcher. Gradualmente le conquiste del movimento operaio sono state erose, le condizioni di vita dei più deboli sono peggiorate, la distruzione dell’ambiente è avanzata a ritmi sempre più accelerati, sotto la spinta della ricerca del profitto. A partire dagli anni Ottanta, sono cominciati i trent’anni dell’egemonia culturale del neoliberismo, che ha conquistato anche i partiti socialdemocratici, diventati perciò la classe politica di riserva dei partiti di destra: la classe politica “di sinistra”, che si alterna al governo con la destra e da quella posizione prosegue, con qualche delicatezza e remora in più, il lavoro della destra (privatizzazioni, liberalizzazioni, precarizzazione del lavoro). E’ questo il tempo che ancora viviamo.
Tuttavia le voci critiche crescono, per quanto siano ancora poche. Non solo più ricercatori di nicchia, ma anche autorevoli studiosi che definiremmo “riformisti” stanno acquisendo la consapevolezza del carattere distruttivo del capitalismo attuale. Basta leggere ciò che scrive Luciano Gallino in Finanzcapitalismo, che parla addirittura di una “crisi di civiltà” prodotta dal capitalismo dominato dalla finanza. Oppure quanto afferma Piero Bevilacqua, il cui ultimo libro si intitola Il grande saccheggio. L’età del capitalismo distruttivo. L’anticapitalismo ritorna, non è più un articolo di antiquariato.
E allora? Allora forse aveva ragione il Pisapia di allora. Forse la sua esperienza politica di quel tempo (non parlo di eventuali reati, non parlo di Prima Linea, parlo della sinistra extraparlamentare le cui radici sono nel ‘68) non va nascosta: forse potrebbe addirittura essere vantata come il momento di maggiore lucidità della storia politica di Pisapia. Certo rivendicare questo potrebbe risultare incompatibile con la sua candidatura alla carica di sindaco di Milano. E non possiamo che augurarci tutti il successo di questa candidatura: tutti vorremmo vedere la destra berlusconiana e leghista sradicata dall’amministrazione milanese.
Detto questo, possiamo immaginare un altro scenario, una scelta diversa di Pisapia, e chiederci se non sarebbe stata più utile alla “causa”. Proviamo a immaginarla... A sessant’anni, provvisto di esperienza, cultura e benessere economico, Pisapia avrebbe potuto tornare al suo giovanile anticapitalismo. Studiare, pensare, organizzare, aiutare i nuovi piccoli gruppi “extraparlamentari” e anticapitalisti, gli ambientalisti, i No TAV, i No Expo,  ecc. ecc. Chissà che non sarebbe stato addirittura più utile che fare il sindaco di Milano. Chissà. Comunque sia, speriamo che ce la faccia.
Carlo Tarpone.

2 commenti:

Linea Gotica ha detto...

credo che il centro sinistra avrebbe potuto sfruttare meglio questo boomerang lanciato dalla moratti

Anonimo ha detto...

Ma, ragazzi, vedete molti fenomeni voi a sinistra?
Se la sinistra è riuscita a perdere da questi qua, non è per merito degli altri è per demerito della sinistra ed allora ecco spiegati i tuoi dubbi, il vino annacquato per abbassare la gradazione perde lo smalto, e la sinistra ha perso lo smalto e la credibilità annacquandosi.