Il libro di Luglio...

 
"GIGI MERONI, IL RIBELLE GRANATA"
di Marco PERONI e Riccardo CECCHETTI
(BeccoGiallo Editore, 2010).
Recensione a cura di Andrea Curreli.
Dimentichiamo il fatto che Gigi Meroni è stato un eroe tragico del calcio italiano. Dimentichiamo anche che è morto giovanissimo in una lontana giornata di ottobre del 1967 quando era all'apice del successo. Fatto questo, pensiamo a un ragazzino di 24 anni con i capelli un po' lunghi e la barba incolta, la maglia granata e i calzettoni rigorosamente abbassati che si diverte a dribblare gli avversari sul rettangolo di gioco. Partiamo così per un viaggio a ritroso dal 1967 al 1943 per quella che è stata sicuramente una "vita al contrario". I testi di Marco Peroni e gli splendidi disegni di Riccardo Cecchetti raccontano la vita di Luigi Meroni e attraverso di lui la voglia di libertà dei giovani che spingeva per entrare di prepotenza nella società italiana. Questo alternarsi calibrato di testi e fumetti è il libro Gigi Meroni, il ribelle granata (BeccoGiallo Editore, 2010). Non un semplice testo ma un vero e prorpio atto d'amore per la celebre "farfalla granata".
Come è nata l’idea di trasformare uno spettacolo teatrale in una graphic novel?
Marco Peroni: “Una sera durante lo spettacolo delle Voci Del Tempo su Gigi Meroni si è presentato Riccardo Cecchetti con dei disegni sul campione del Torino. Io, Mario Congiu e Mao non conoscevamo Riccardo, ma siamo diventati amici. Successivamente durante un salone del libro abbiamo presentato il progetto alla Becco Giallo e così è nato Gigi Meroni il ribelle granata. Non è stata una scelta premeditata”.
Riccardo Cecchetti: "Sono un soggetto molto sui generis perché sono marchigiano, ma tifoso granata da tre generazioni. E' stata colpa o merito di mio nonno che come ninna nanna recitava la formazione del Grande Torino. E' una vita che lavoro con il fumetto e il mio sogno era fare qualcosa sul Toro. Meroni è stato per me il personaggio più bello sia come uomo che calciatore. Per nove mesi, il tempo di 'gestazione' del libro, Meroni è diventato il mio amico immaginario".
Il vostro racconto di Gigi Meroni lascia sullo sfondo la sua tragica fine. Una scelta consapevole?
Marco Peroni: “Non parlare della morte è stata una scelta fortissima, premeditata e pienamente consapevole. Così come accade per Luigi Tenco spesso si cerca l’emozione facile. Si finisce per non fare un giusto servizio a Tenco parlare della sua tragica morte e non della sua musica. Lo stesso accade con Gigi Meroni. Abbiamo cercato, in forma di favola, di aggirare questo macigno per raccontare invece la storia di questi 24 anni e di tutta la loro vitalità. Volevamo creare una tensione tra l’allegria e la poesia di Gigi Meroni con il fatto che tutti conoscono la storia della sua fine. Parlare della morte di Gigi sarebbe stata pornografia, raccontare la sua vita è stato erotismo”.
Riccardo Cecchetti: "Abbiamo evitato di raccontare la morte di Meroni perché sarebbe stata una scorciatoia demagogica, facile e tragica. Dato che la storia del Torino è costellata di tragedie era meglio per noi raccontare una favola all'incontrario. Purtroppo qualsiasi personaggio risalta per un vizio, per una tragedia o per una morte. Dato che viviamo in un mondo di reality show e di sensazionalismi, parlare più intimamente e in maniera più delicata e romantica di Meroni ci è sembrata un atto d'amore doveroso".
Nel vostro fumetto è molto forte l’elemento di ribellione e anticonformismo che caratterizzò il calciatore di Genoa e Torino.
Marco Peroni: “Gigi Meroni è stato il primo a portare nel calcio quella voglia di ribellione. Gigi non era diverso da tanti giovani della sua età, ma agiva all’interno di un mondo, quello del calcio, che rispecchiava l’Italia contadina degli anni Cinquanta. Non bisogna dimenticare che il ritiro della Nazionale si apriva con l’inno dei bersaglieri, si doveva giocare con i calzettoni rigorosamente alzati e la maglietta dentro i calzoncini. In sintesi solo il palcoscenico era diverso”.
Riccardo Cecchetti: "Il giornalista Gianpaolo Ormezzano ci ha rimproverato per il titolo, ma Meroni è stato ribelle suo malgrado. Lui era fatto così: girava con la gallina per pura provocatio. Era però un bravissimo ragazzo, disciplinatissimo, entusiasta di giocare a pallone. Il calciatore ha il privilegio di fare per lavoro quello che faceva per gioco, Meroni aveva la passione per quello che stava facendo. La sua ribellione era relativa perché lui si divertiva e aveva la passione per l'arte ed era un bravo pittore. Non c'era la volontà di uscire dagli schemi perché ancora il 1968 non era esploso, ma c'era la voglia di liberazione nei confronti di chi gli diceva di tagliarsi i capelli se voleva la maglia della Nazionale. Fece scandalo anche perché conviveva con una donna sposata e qualcuno lo paragonò a Dustin Hoffman de Il Laureato, ma la sua non è stata una ribellione né politica né scientifica".
Quel "ribellismo" applicato al mondo del calcio ha lasciato un’eredità?
Marco Peroni: “Il rapporto tra calcio e anticonformismo è mutato radicalmente perché è cambiato il contesto. Ai tempi di Meroni c’era una generazione compatta nelle sue richieste che partoriva e adottava dei suoi eroi. Quella generazione oggi non c’è più e nel corso degli anni si sono susseguite generazioni più frastagliate. La ribellione era un evento epocale per quell’epoca, perché c’erano regole molte rigide. L’anticonformista di oggi, in una società dove c’è la corsa ad apparire a tutti i costi, tende a scomparire e a non farsi notare. Per questo motivo oggi c’è sicuramente un erede di Gigi Meroni, ma non lo conosciamo”.
Riccardo Cecchetti: "Non c'è e non c'è stato. Maradona ad esempio è stato il Caravaggio applicato al calcio, ma con Meroni non c'entra niente. La cosa stupenda di Meroni, malgrado questa sua apparenza trasgressiva,  era la disciplina totale. I calciatori di oggi non hanno quella disciplina. Si è invertito il rapporto: per Meroni la cosa bella era giocare, fare il dribbling e lavorare sul campo di calcio, per il giocatore attuale l'obiettivo è la velina, il Suv e il ristorante dove si paga molto anche se si mangia male. E' un calcio molto standardizzato e schiavo del business".

Nessun commento: