Il libro del mese - Febbraio 2010


"LA FUGA IN AVANTI"

di M.Morlacchi.

Recensione di SIMONE CAPULA.

Da anni mi interesso di Brigate Rosse, ad un certo punto delle mie ricerche, mi sono imbattuto, per caso in un interessante e bel libro, acquistato perché mi affascinò il titolo “LA FUGA IN AVANTI. La rivoluzione è un fiore che non muore” di Manolo Morlacchi (ed. Agenzia x-Cox 18, 216 pagine, 15 euro). Il libro è stato pubblicato nell’ottobre 2007.

A questo punto vi chiederete perché parlare di un libro vecchio di tre anni? La risposta è quasi banale e inquietante allo stesso tempo. Perché l’autore pochi giorni fa è stato arrestato con l’accusa di cercare di rifondare le Brigate Rosse. Per quanto riguarda il suo arresto, non ci resta di rimanere in attesa di sviluppi, certi che la posizione di Manolo Morlacchi sarà chiarita al più presto. Ma chi è Manolo Morlacchi? Nasce a Milano nel 1970 e ha sempre risieduto a Milano. Si è laureato in Storia preso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università Statale di Milano nel 1997 con una tesi dal titolo “Politica e ideologia nell’Italia degli anni 70. Il caso delle BR. Studente lavoratore , deve ben presto abbandonare qualsiasi velleità di insegnamento o di dottorato. A fine 2008, ha pubblicato un racconto sul manifesto dal titolo “ I topi di San Vittore” che, tratto da fonti orali, racconta una giornata tipo nello storico carcere milanese. Attualmente lavora in una multinazionale dell’outsourcing cartaceo (archiviazione industriale per conto terzi), dove si occupa di logistica.

Di che parla il libro “La fuga in avanti. La rivoluzione è un fiore che non sfiorisce mai”? Racconta la storia della propria famiglia, lì, al quartiere Giambellino, zona sudovest di Milano, quartiere pure cantato da Giorgio Gaber. Quartiere dove, “in Piazza Tirana le Br tenevano comizi con la polizia che non interveniva. Sui tetti delle case popolari non era raro vedere sventolare bandiere rosse con la stella a cinque punte. Credo che una situazione simile sia stata vissuta solo in questo quartiere”. Racconta la sua famiglia, in particolare il padre Pierino (nel 72 fu tra i fondatori con Cagol, Curcio, Franceschini e Moretti delle Brigate Rosse) e della mamma Heidi Ruth Peush, entrambi militanti comunisti ed entrambi oggi deceduti.Il libro è molto prezioso per capire qualcosa in più di quegli anni e di certe scelte fatte da non poche persone, da non pochi giovani. E’ un libro piacevole alla lettura, insomma ben scritto. La mia “recensione” potrebbe finire qui, con un semplice invito a leggere il libro. Un libro che è anche un progetto culturale non-allineato.

Permettetemi invece di fare qualche citazione che spero servano a chiarire che tipo di libro è :

1) Da un’intervista di Giuliano Boraso a Manolo Morlacchi :

Boraso : Sagra famigliare, foto di gruppo in esterno, storia politica e generazionale. Quale di queste tre definizioni meglio può sintetizzare l’essenza ultima del tuo libro? E perché?

Morlacchi : La mia intenzione è stata sin da subito quella di scrivere una storia, una vicenda partigiana. Ho utilizzato le esperienze umane, politiche, rivoluzionarie della mia famiglia perché le ho in parte vissute e le conosco bene e perché i Morlacchi avevano in sé tutte le sfaccettature proprie del movimento operaio e comunista del Novecento italiano. Per questa ragione le loro vicende rappresentano un bagaglio di esperienze troppo ricco per non essere recuperato e valorizzato.
La fuga in avanti non ha alcun intento storiografico. E’ un libro politico nella misura in cui rivendica interamente la storia dei suoi protagonisti. E’ un libro nel quale l’esperienza rivoluzionaria cerca di emergere da una storia famigliare lunga un secolo.

2)I capoverso del libro:

“L’ultima volta che arrestarono mio padre avevo dieci anni. Era il primo maggio 1980. Lo presero mentre, in piena notte, faceva delle scritte inneggianti alle Brigate Rosse. Quando arrivarono le volanti, Pierino fece solo in tempo a dire “non toccate il ragazzo…lui non c’entra”. Ma la Digos non sentì ragione e le botte toccarono a entrambi. Il “ragazzo” si chiamava Gennaro (Giovanni Achito), aveva ventisette anni e quella notte era in compagnia di Pierino. Il giorno dopo, un cronista del “Giorno” ebbe la bella pensata di scrivere un pezzo sul pericoloso terrorista Pietro Morlacchi che di notte andava in giro per Milano con il figlioletto di dieci anni a scrivere frasi a sostegno della lotta armata. Nel preciso istante in cui mio padre veniva arrestato, io stavo dormendo nel mio letto. Quel cronista e il suo giornale furono denunciati e anni dopo, grazie a quella causa, mia madre intascò qualche quattrino. “Il Giorno” fu anche obbligato a pubblicare la smentita, che ebbe un risalto decisamente inferiore rispetto al titolone dedicato a Piero Morlacchi in giro di notte con il “figlio biondo di dieci anni”.

3)Ultimo capoverso del libro :

“ Pochi anni dopo la morte di Pierino, nell’agosto del 2003, anche mia madre morì dopo una breve malattia. Ancora una volta ci trovammo insieme sotto la lapide dei partigiani, al Giambellino. Nonostante fosse quasi ferragosto, la via si riempì e tanti compagni si unirono a noi. Nella notte qualcuno aveva scritto sul muro di via Segneri, a caratteri cubitali : “La rivoluzione è un fiore che non muore. Ciao Heidi”. Stentavamo a crederci, in verità. Poi incrociai tanti occhi e capii che era proprio così. Nelle pupille di molti compagni si scorgeva ancora viva una scintilla che sembrava dire : “La lotta continua, fino alla vittoria!”.

1 commento:

Anonimo ha detto...

ma questo Simone Capula è uno studioso di terrorismo? Oppure pensa che certe fallimentari esperienze si debbano ripetere, quasi 40 anni dopo? Grazie a questi signori la sinistra continua a subire, perchè non vuole abbandonare ceri feticci culturali. Avanti cosi', caro Capula, e fra qualche anno non esistera' neanche piu' la parola sinistra.
Giunkyer.