CHIVASSO
Un mese fa una piccola compagnia locale, l’Associazione «Teatro a Canone», chiede al Comune di Chivasso l’uso del Teatrino Civico per rappresentarvi giovedì 10 settembre lo spettacolo A ferro e fuoco, basato sul libro di Stefania Podda Nome di Battaglia Mara. Vita e morte di Margherita Cagol il primo capo delle Br. Il Comune accoglie la richiesta.
La recita si inserisce in un programma di riflessione su episodi e personaggi della storia italiana. In precedenza, la compagnia ha messo in scena aspetti della vita e delle opere di Piero Gobetti e della moglie Ada, del filosofo Piero Martinetti (a cui è intitolato il liceo di Caluso), di Beppe Fenoglio (con particolare riferimento al racconto La malora), di Pier Paolo Pasolini, di Don Lorenzo Milani, l’autore di Lettera a una professoressa. Ha collaborato con università, enti locali, scuole, aziende sanitarie. Il curriculum completo è a disposizione di chiunque voglia leggerlo, e ne mando una copia a «La Voce». Il libro di Podda, ex giornalista di «Liberazione», a cui lo spettacolo si ispira, è pubblicato da Sperling & Kupfer in una collana diretta da Luca Telese, collaboratore de «Il Giornale».
Tutto procede regolarmente finché venerdì pomeriggio, sei giorni prima della data dello spettacolo, la compagnia riceve via mail una lettera del sindaco con la quale viene revocato l’uso del Teatrino. La revoca manda a monte il lavoro di un anno, le spese sostenute per prepararlo, l’introito che si attendeva dalla vendita dei biglietti d’ingresso. Ma, soprattutto, pur senza impedirlo crea un ostacolo – piccolo o grande - all’esercizio del diritto, costituzionalmente garantito, a manifestare liberamente il proprio pensiero «con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (ho controllato sul sito del governo: la Costituzione è ancora in vigore).
Il sindaco aveva il diritto di revocare l’uso del Teatrino, che aveva concesso un mese prima? A quale norma si è rifatto? Non si sa, perché la lettera non contiene alcun riferimento normativo. Nel regolamento del Teatrino si legge: «È pure facoltà del Sindaco e/o dell’Assessore al Patrimonio rifiutare l’uso della concessione a richieste che potrebbero turbare l’ordine pubblico». Ma la lettera non accenna a pericoli per l’ordine pubblico.
Qual è allora la motivazione del provvedimento? Cito dalla lettera: «A seguito di esame del programma [che non esiste] della rappresentazione, si ritiene che la stessa contenga espressioni che possano essere ritenute offensive della dignità e della morale pubblica e pertanto potenzialmente lesive dei sentimenti ed egli interessi pubblici collettivi che questa Amministrazione è tenuta a tutelare».
Caro Matola, in quale legge è assegnato al sindaco il compito di occuparsi di «morale pubblica» e di «sentimenti»? L’Italia è, o dovrebbe essere, uno Stato di diritto, non uno «stato etico», quello di Giovanni Gentile. Lo Statuto del Comune attribuisce al sindaco compiti di «amministrazione, vigilanza e organizzazione», non di tutore della morale pubblica. Ma ammettiamo pure che, convinto che fosse suo compito, il sindaco abbia sentito il bisogno di preoccuparsi delle ferite che la storia sanguinosa della lotta armata ha lasciato nelle vittime, nei loro parenti, nei loro amici, nella loro cerchia, nei cittadini che ne hanno condiviso i sentimenti di dolore, nei tanti che ricordano con angoscia quel periodo.
Se è così, lo possiamo comprendere, e anche apprezzarne la sensibilità. Ma allora perché non ha avuto la medesima sensibilità in un’altra circostanza? Il 10 giugno nel Teatrino civico (a spese del Comune?) è stato presentato un libro sul fondatore della Scuola di mistica fascista (1930-1943). L’evento è stato annunciato con un cartoncino (pagato dal Comune?) sul quale è riprodotta la copertina del libro, con tre signori in una magnifica camicia nera. Il cartoncino è intestato «Comune di Chivasso. Assessorato alla cultura» e «Biblioteca Civica J. Suigo». E reca: «Il Sindaco Bruno Matola e il Vicesindaco e Assessore alla Cultura Alessandro Germani sono lieti di invitarLa alla presentazione del libro di Tomas Carini "Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista 1930-1943"
Domanda: il sindaco non ha pensato che a Chivasso vivono i parenti di partigiani e deportati la cui morte va messa sul conto dei signori in camicia nera le cui gesta sono studiate nel libro? Non ha pensato che la presentazione del libro, a cura del sindaco e del vicesindaco, a spese del Comune, nel luogo pubblico più prestigioso della città, avrebbe potuto offendere i sentimenti di quei parenti e di quegli eredi? Non ha pensato che quei signori in camicia nera furono gli esponenti del regime criminale responsabile della morte dei loro congiunti? Non avrebbe dovuto avere rispetto per i sentimenti anche di questi suoi concittadini? Non era opportuno evitare che l’evento si svolgesse in uno dei «locali appartenenti al patrimonio pubblico comunale»? Non ha pensato che avrebbe potuto evitare di concedere il patrocinio del Comune?
Piero Meaglia
3 commenti:
Secondo i calcoli di uno storico locale, nella Resistenza Chivasso ha avuto 42 partigiani e deportati morti (caduti in combattimento, giustiziati, morti in campo di concentramento). I famigliari vivono ancora (uno di loro ha commissionato allo storico la composizione di un libro sui resistenti chivassesi). Matola forse non ha tenuto conto dei loro loro "sentimenti" quando ha sponsorizzato (con soldi pubblici?) la presentazione sul fondatore della scuola di mistica fascista.
pm
Aggiungo: penso che l'ANPI dovrebbe aderire.
pm
Anpi, Pd, ex verdi e...
Tacciono si chiama complicità
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