IL FILM DEL MESE DI DICEMBRE 2008



"La classe"
di Laurent Cantet

Recensione a cura di Domenico CENA.



Il film “La classe” (Entre les murs) di Laurent Cantet, vincitore della palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, parla di scuola, e non per farci sopra due risate. Basterebbe questo a mettere in fuga anche gli spettatori meglio intenzionati. E invece no, è un film che merita di essere visto. Anzi, un film che dovrebbe essere visto da tutti coloro che, per qualche ragione, hanno a che fare con la scuola, a cominciare dalla sciagurata ministra Gelmini, dai professori, allievi e genitori.

Merita di essere visto anzitutto per come ne parla. Perché “La classe” è soprattutto un film parlato, in cui la parola viene usata e analizzata come strumento di comunicazione e di potere, di affermazione personale e di gruppo. In questo film, tutti, o quasi, parlano, a cominciare dal professore, interpretato da François Bégaudeau, l’autore del libro da cui è tratto il film. Si tratta di un professore giovane, progressista, che ama il suo lavoro, alla costante ricerca del dialogo con gli allievi. Il professore ideale, quindi, quello che ogni genitore vorrebbe per educare i propri figli. Eppure, come diceva un famoso ispettore dei tempi di carosello, anche lui commette un errore. Quando si rende conto che la parola non basta, o non riesce più a fargli superare il muro che ci separa dagli altri, si lascia trascinare dalla volontà di abbattere ad ogni costo gli ostacoli che lo allontanano dai suoi allievi. Lui che fa del rispetto delle regole, linguistiche e non, uno dei cardini del proprio insegnamento, quando si rende conto di non riuscire a superare le diffidenze, a scardinare le resistenze, per una volta rinuncia alla sua lingua da insegnante e usa un’espressione “da allievo”. Rischia, e perde, perché dimostra concretamente che la lingua “ufficiale” della scuola, per quanto si sforzi di rinnovarsi e di adattarsi alle nuove realtà sociali, non è più uno strumento valido ed efficace. Non basta più, ci vorrebbe qualcos’altro. Ma cosa?

Cosa ci vorrebbe per riuscire a creare un varco nelle barriere etniche, sociali, culturali, (di classe?) che lo separano dai suoi allievi, i 24 ragazzi e ragazze adolescenti che formano la classe multietnica e variegata che gli è stata affidata? Loro usano la parola con difficoltà, di malavoglia, più per etichettare, classificare e respingere, che per capire, comunicare e aprirsi. Si esprimono meglio con gli sguardi, i sorrisi, i modi di essere e di vestire, la loro vitalità istintiva e spesso violenta. Si rifiutano, devono essere conquistati, ma sono sempre pronti a provocare e a respingere qualsiasi imposizione. Uno di loro, Souleymane, il classico allievo problematico, quello che basta da solo a rovinarti una classe, si rifiuta addirittura di parlare, non collabora in nulla e oppone un silenzio ostinato ad ogni più ragionevole richiesta. Si esprime solo per immagini, la più indecifrabile delle quali porta incisa sul braccio come tatuaggio. E quando alla fine viene espulso dalla scuola (non si può fare altro, pur con tutta la buona volontà da parte di tutti) se ne va con la madre, che parla sì, ma esclusivamente la sua lingua di origine, africana.

La scena della riunione del consiglio di disciplina è forse una delle più significative: tutti si sforzano di capire, collaborare, ma alla fine non si può fare altro che respingere, espellere l’allievo indisciplinato, che non accetta nessuna regola. E’ uno scacco cocente per la società e per la scuola, il cui compito principale è forse proprio quello di insegnare le regole della convivenza democratica.

Ma benché il regista affermi di non volersi pronunciare, di limitarsi a mettere in scena la realtà attuale, il finale non sembra così pessimista. Sarà perché rimangono negli occhi dello spettatore l’esuberanza, la voglia di vivere, di rappresentarsi, di provarsi, di giocare con se stessi e con gli altri di quei 24 ragazzi. La voglia di partecipare, di lottare per affermarsi e per esserci. Tutto questo non sembra togliere la speranza che alla fine si riuscirà anche a convivere e comunicare, magari cambiando qualcosa, a cominciare dalla scuola.

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