Pablo Larrain
è un regista cileno che, a trentasette anni, può già vantare all’attivo tre film
di valore assoluto, che ne fanno uno dei giovani emergenti più interessanti a
livello mondiale.
Si tratta di
una vera e propria trilogia, con un unico soggetto, anzi, un’ossessione, quella
del Cile di Pinochet. Il primo film, Tony
Manero, del 2008, vincitore del Torino Film Festival, è la storia di Raul
Peralta, ballerino pluriomicida, ossessionato dal personaggio interpretato da
John Travolta in “La febbre del sabato
sera”. Siamo nel Cile del 1979, un paese distrutto, logorato dalla violenza
poliziesca, privato dei propri valori, che ha perso ogni riferimento culturale
ed esistenziale. L’unico sogno rimasto è quello importato, falso, esaltato dalle
luci degli studi televisivi e per raggiungerlo si è disposti a tutto, anche ad
uccidere con indifferenza chi ci è vicino.
Il secondo
film, “Post mortem, del 2010, è
ambientato nel 1973, al momento del colpo di stato. Attraverso gli occhi di un
impiegato all’obitorio, assistiamo all’autopsia effettuata sulla salma di
Allende. In quel corpo si addensano tutti i problemi irrisolti del suo paese,
quasi come, per il nostro, nel corpo di Moro infilato nel baule della R4
rossa.
L’ultimo
tassello della trilogia, “No - i giorni
dell’arcobaleno”, uno dei migliori film visti a Cannes 2012, per certi
aspetti sembra allontanarsi dalle atmosfere opprimenti della dittatura. Siamo
infatti nel 1988, quando il generale Pinochet, ormai screditato agli occhi del
mondo intero nonostante il sostegno ricevuto nel corso della recente visita in
Cile di papa Wojtyla, cerca una conferma popolare con un referendum che dovrebbe
mantenerlo al potere per altri dieci anni. A differenza dei film precedenti, che
ci presentavano un paese senza speranza, oppresso dalla paura e
dall’indifferenza, qui troviamo un Cile in cui l’opposizione al regime si
manifesta apertamente, nelle piazze e nelle sedi dei partiti, e in cui molti
sono pronti a impegnarsi per vincere la sfida.
Il
protagonista, René Saavedra (interpretato dall’attore Gael Garcia Bernal,
l’indimenticabile protagonista de “I
diari della motocicletta”), è un giovane pubblicitario ritornato da poco
dall’esilio. Molti pensano che occorra usare i pochi minuti di spazi elettorali
concessi, nel cuore della notte, dal regime alle opposizioni, per mostrare la
ferocia e i guasti provocati da quindici anni di dittatura. Renè, invece, è
convinto che per vincere bisogna diffondere un messaggio positivo, aperto al
futuro, servendosi degli stessi mezzi usati dalla pubblicità per convincere i
consumatori della bontà del prodotto. Superate non poche resistenze, René,
insieme ai suoi collaboratori, imposta una campagna basata sull’ottimismo,
accesa dai colori dell’arcobaleno, con volti giovani e sorridenti e testimonial
famosi nel paese.
Arriva così
una vittoria inattesa, che permetterà il ritorno del paese alla democrazia e a
una nuova stagione di speranza. Anche se non mancano le contraddizioni, prima
tra tutte la mancanza di una cultura e di valori condivisi, che non siano quelli
del consumismo e delle false immagini di un consolatorio ottimismo di maniera.
Non per nulla è proprio questo repertorio mediatico l’unico elemento che
accomuna i sostenitori del no e quelli del sì, come dimostra il fatto che le due
opposte campagne sono portate avanti da persone che lavorano nella stessa
agenzia pubblicitaria.
Dal punto di
vista filmico, l’elemento forse più affascinante di “No – i giorni dell’arcobaleno” è dato
dalla qualità delle immagini, con una grana e dei colori simili a quelli che
avevano le immagini dell’epoca in cui si svolgono i fatti. Larrain infatti ha
usato per le riprese le stesse attrezzature di allora, per cui non c’è alcuna
differenza tra le immagini di repertorio proposte nel corso del film e quelle
girate oggi. E’ come essere trasportati indietro nel tempo, direttamente sulla
scena dei fatti, come fare della storia su avvenimenti del
presente.
Nessun commento:
Posta un commento