Il disco di luglio...


                                                           
      
                                                          
                                                                  VINICIO CAPOSSELA
                                                             "Marinai, Profeti e Balene".

                                       Recensione a cura di Ivan Masciovecchio per rovkshok.it 


Tre anni fa avevamo lasciato Vinicio Capossela da solo, in clandestinità, dall’altra parte della sera (e dell’oceano) con lo sguardo rivolto sui silenzi e sui vetri appannati d’America. Lo ritroviamo oggi, inghiottito dal Grande Leviatano, andare incontro al proprio destino in compagnia di Marinai, Profeti e Balene e di tutte le altre (stra)ordinarie creature che popolano il fantastico circo (degli abissi) dei suoi pensieri.
Rinviato ancora una volta il progetto relativo ad un album composto esclusivamente da brani della tradizione musicale popolare italiana (ma si farà mai?), l’ennesimo favoloso e surreale viaggio di Vinicio Capossela abbandona la dura e polverosa consistenza della terra ferma per spingerci anima e corpo nell’immensa liquidità del mare (nostrum) e delle storie epiche che da esso prendono vita.
Ispirato dalle pagine e dalle suggestioni di Herman Melville e del suo Moby Dick, ma anche dall’Antico Testamento “…uno dei testi più citati dal folk ‘n’ roll…”, da Omero, da Louis Ferdinand Celine, da Joseph Conrad, l’artista tedesco di nascita, italiano di fatto, ma apolide per indole, realizza un’opera letteralmente fuori misura, una Marina Commedia intensa, evocativa e commovente.
Un ciclopico disco doppio d’altri tempi, ricco come sempre di strumentazioni atipiche ed arcaiche (si possono ascoltare ondioline, seghe, lumachine di mare, giocattoli elettronici, catene, teste di moro, pentole, bicchieri…), sostenute ora da un quartetto d’archi, ora da una serie di cori sacri e profani, ora dall’insostenibile canto delle sirene. Nonché da una gigantesca, unica e straordinaria orquestra mecànica realizzata interamente dal collettivo catalano CaboSanRoque, oltre che dalla trasversale bravura della collaudata ciurma selezionata tra gli amici di ieri (Jimmy Villotti, Ares Tavolazzi), i collaboratori di sempre (tra gli altri, Mirco Mariani, Alessandro Stefana, Vincenzo Vasi) ed artisti internazionali più (il contrabbassista americano Greg Cohen) o meno (il musicista greco Psarantonis) conosciuti. E con il ricordo nel cuore del grande Capitano Renzo Fantini, lo storico produttore recentemente scomparso che fu tra i primi a credere in quel giovane bohemienne che si esibiva nei club fumosi della Romagna.
Nonostante la complicità delle Pleiadi, virtuoso ed avidamente assetato di avventura e canoscenza, nel suo fantasioso e letterario peregrinare l’Ulisse di Hannover a tratti rischia di smarrire la rotta, arenandosi in qualche secca creativa (la vezzosa sirenetta Pryntyl può essere considerata la sorellina della nerviosa Medusa Cha Cha Cha) oppure all’opposto, perdendosi alla deriva in un tempestoso oceano (oilalà) di suggestioni difficili da governare, in cui tra ciclopi cannibali e ubriachi (Vinocolo), freak show di creature abissali (Goliath) e ninfe laboriose (Calipso), non tutto ciò che si incontra risulta coinvolgente e persuasivo.
A rischiare, però, non tutti son disposti. E, soprattutto, capaci. Vinicio Capossela sì. Ed il suo spessore artistico si misura anche da questo. Mutevole e bizzarro, non ha paura di risultare esagerato, di complicarsi (in)utilmente la vita. In epoca di musica virtuale e di anonime play list caricate sugli iPod, ti inchioda al divano per ottantasei minuti, proponendo una dopo l’altra ben diciannove tracce le quali, al netto di quanto sopra ricordato, racchiudono in sé la grazia e la piacevolezza per condurci in un vortice di piacere dal quale è difficile, pur volendolo, riemergere. Degli inganni dell’attesa, di come non si è mai protetti contro la propria debolezza, del doloroso sentimento della nostalgia, delle danze tremule dei fuochi fatui, della potenza e della misericordia di Dio, dell’amore che può uccidere o farci risorgere, di chi nasce dalla parte sbagliata di mare, corpi sputati dal mare come la statua della Madonna delle Conchiglie. Con il suo rock biblico, con le sue ballate che si aggrappano al cuore o con le melodie popolari che ce lo rallegrano, di tutto questo ci racconta Vinicio Capossela. Di noi reietti e della nostra lotta tra bene e male, eternamente in bilico tra desiderio di salvezza e fascino della perdizione.
Ora non resta che ascoltarle dal vivo queste meraviglie marine, ad occhi sgranati come bimbi davanti ad un acquario, facendo attenzione soltanto a non restare incantati dal canto sovrumano delle sirene. Perché, è bene non dimenticarlo mai, ad essere letale non è la loro voce. E’ rimanendo immobili al loro cospetto che si muore, fermandosi ad ascoltare ciò che si è stati, l’uomo di ieri, l’uomo che eri, rinnegando il futuro e la vita che sarà.





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