Costituzionalizziamo i beni comuni...
E ora una costituente per i beni comuni. L’avevano proposta Mattei e Lucarelli prima dell’esito dei referendum, l’ha rilanciata Petrella, l’hanno raccolta Massimo Rossi e Paolo Ferrero e non vedo chi non potrebbe aderirvi. Il luogo giusto per scriverne a più mani il manifesto potrebbe essere proprio Genova a fine luglio, nel decennale di un movimento che, come si è visto il 13 giugno, ha saputo scavare in profondità, sotto la gittata dei radar dei mass media, sotto il palcoscenico del teatrino della politica, non visto nemmeno dai più attenti cultori dei movimenti rivoluzioni.
Cosa dovrebbe esserci scritto? Che in questo mondo vi sono beni e servizi indisponibili alla logica mefistofelica, distruttiva e predatoria del mercato. Inalienabili, intangibili, semplicemente perché indispensabili e insostituibili per il buon vivere di ciascuno e di tutti. Beni e servizi che vanno tutelati e resi accessibili a tutti. Beni e servizi considerati talmente importanti per le popolazioni che non si fidano nemmeno di darli in gestione ai legittimi governi e ai loro apparati tecnico-amministrativi. Oltre il pubblico-statale, si è detto, perché troppo spesso il governi pro-tempore si comportano come e/o a favore degli interessi privati. Quando Tremonti vuole vendere [pardon: affidare in gestione per cent’anni] le spiagge, quando Camerun tenta la stessa operazione con le foreste inglesi, Gheddafi con il Sahara, l’Alaska con le sue risorse idriche… allora vuol dire che non basta affermare la «demanialità» di un bene per assicurarne l’interesse pubblico. Come ci dicono gli studi compiuti dalla Commissione Rodotà, serve elaborare un nuovo statuto giuridico-politico del «comune». Una rivoluzione culturale che le costituzioni dell’America latina hanno cominciato a fare inserendo Pacha Mama e Bien Vivir, la natura e la vita degna, tra i beni da tutelare a prescindere dalla loro utilizzazione economica, dal loro impegno produttivo di merci e di reddito. Passare «dal calcolo dei risultati all’etica della cura», come ha scritto Teresa Serra.
Evo Morales, in un discorso alle nazioni Unite ha detto: «Se il XX secolo è stato l’era dei diritti umani, il XXI dovrebbe essere il secolo dedicato alla natura e a tutti gli esseri viventi (…) So che questo compito non sarà facile. Molte persone, specie gli avvocati, affermano che solo noi esseri umani abbiamo diritti». Per noi occidentali si tratta effettivamente di una rivoluzione culturale, prima che guridico-politico. Una fuoriuscita dall’antropocentrismo, dallo specismo, dall’androcentrismo per entrare in una cosmologia biocentrica, in una visione bio-umanistica.
La scoperta di una «etica della natura» ci riporta all’ecologia profonda, all’origine del pensiero ecologico: gli individui sono parte di un sistema di relazioni, di interdipendenze, che richiede cooperazione, condivisione.
Nella passata legislatura avevamo [Prc] elaborato una proposta di modifica della Costituzione: «La Repubblica riconosce la biosfera come bene comune dell’umanità, tutela la biodiversità e la dignità di ogni organismo vivente». Si potrebbe partire da qui.
Paolo CACCIARI per Carta.
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