BUGO
"Arriva Golia - La gioia di Melchiorre"
Recensione a cura di Giuseppe FABBRIS per rockol.it
A due anni da “Dal lofai al ci sei” arriva finalmente il primo disco major di Bugo. Qualcuno potrà obiettare che è il secondo stampato dalla Universal, ma, come ci spiegò lo stesso Cristian, “Dal lofai al ci sei” era stato realizzato prima di firmare il contratto.
Questa premessa per dire che Bugo fa le cose in grande e sfrutta il potenziale alle sue spalle per pubbllicare un disco doppio ad un prezzo vantaggioso.
Due dischi, dicevamo: uno acustico registrato in casa e uno elettrico (e elettronico) realizzato in uno studio creato grazie al budget messo a disposizione dalla Universal (vedi News), suonato con gli amici e mixato da un esperto del settore come Roberto Vernetti.
Ventuno canzoni che ben riassumono l’estro musicale del cantautore di Trecate Novarese: brani che sondano i suoi pensieri più cupi e tristi e che esplodono nelle sue invenzioni più bislacche. Due album talmente distanti l’uno dall’altro da rendere necessarie due recensioni singole.
Partiamo quindi dal Bugo “classico”, quello acustico, quello più vicino al termine “trist-allegro” che gli venne affibiato tempo fa e che oggi gli va quasi stretto: “La gioia di Melchiorre”, album folk-blues registrato con Joe Valeriano. Qui, per sua stessa amissione, sono state inserite le sue canzoni più tristi. Si ascolti ad esempio l’iniziale “Cosa fai stasera”, un cupo brano blues sulla gelosia, “Rimbambito” oppure “Sentirsi da cane”.
Quest’ultima è una delle tre punte di diamante del disco assieme alla romantica “Che diritti ho su di te?” e all’ironica (ma allo stesso tempo malinconica) “Se avessi cinquant’anni”.
La prima viene cullata nelle sue atmosfere dark dalla chitarra suonata con l’e-bow da Bruno Dorella e dai cori di Stefania Pedretti. “Che diritti ho su di te” racconta un’amore a distanza che vive di incomprensioni e gioie, mentre “Se avessi 50 anni” è una doppia riflessione: sul futuro di Bugo e sul presente di Joe Valeriano che qui canta con lui. Divertente la strofa “Se avessi cinquant’anni smetterei di fumare… i sigari cattivi”.
Troviamo così un Bugo meno incline alla battuta, ma più riflessivo e malinconico. Un cantautore che si è rintanato nella sua casa a rimuginare e che ne è uscito con una manciata di canzoni sofferte che rispecchiano tutto il suo lato più pensieroso.
Un lato però che viene controbilanciato da “Arriva Golia!”, dove l’hip hop, le tastiere anni ’80, i sintetizzatori e la voglia di fare festa la fanno da padroni. A tessere le fila c’è Rico, componente della crew Uochi Toki alla prima prova come produttore.
Il risultato è frizzante, disomogeneo e mette sul piatto tutto l’estro del musicista: dieci canzoni divertenti che vanno dal pop-rock di “Carla è Franca” (primo singolo estratto dal disco), al rap sgangherato di “Hasta la schiena siempre” e “Devo fare un brec”, passando per il rock di “Caramelle” e il pop di “Sintetizzatore”. Quest’ultima è una delle canzoni più divertenti mai scritte da Bugo e, se ben sfruttata, potrebbe diventare un tormentone estivo.
Non sappiamo in che modo Vernetti abbia rielaborato il materiale registrato da Bugo, ma il risultato è quasi sempre originale, divertente e, talvolta, spiazzante. Bugo si scatena a scrivere strofe surreali e giocose come in “Devo fare un brec” in cui canta “Mi sento un toast se mi mangio un toast, mangio un togo e mi sento togo”, o in “Spargimento di sangue” (“Sbaglia il caldo a fare caldo”).
“Golia & Melchiorre” dopo lunghi ascolti si rivela così un disco coinvolgente e piacevole che convince sià nel suo lato più triste che in quello più frizzante. Propabilmente una maggiore selezione dei brani avrebbe permesso di pubblicare un lavoro più a fuoco, ma avrebbe sicuramente tarpato le ali ad un artista che da sempre ci ha abituato all’iperproduttività.
Bugo si conferma ancora come uno dei musicisti italiani più estroversi e brillanti usciti negli ultimi anni. Un artista che va lasciato libero di crescere e inventare.
(Giuseppe Fabris)
Questa premessa per dire che Bugo fa le cose in grande e sfrutta il potenziale alle sue spalle per pubbllicare un disco doppio ad un prezzo vantaggioso.
Due dischi, dicevamo: uno acustico registrato in casa e uno elettrico (e elettronico) realizzato in uno studio creato grazie al budget messo a disposizione dalla Universal (vedi News), suonato con gli amici e mixato da un esperto del settore come Roberto Vernetti.
Ventuno canzoni che ben riassumono l’estro musicale del cantautore di Trecate Novarese: brani che sondano i suoi pensieri più cupi e tristi e che esplodono nelle sue invenzioni più bislacche. Due album talmente distanti l’uno dall’altro da rendere necessarie due recensioni singole.
Partiamo quindi dal Bugo “classico”, quello acustico, quello più vicino al termine “trist-allegro” che gli venne affibiato tempo fa e che oggi gli va quasi stretto: “La gioia di Melchiorre”, album folk-blues registrato con Joe Valeriano. Qui, per sua stessa amissione, sono state inserite le sue canzoni più tristi. Si ascolti ad esempio l’iniziale “Cosa fai stasera”, un cupo brano blues sulla gelosia, “Rimbambito” oppure “Sentirsi da cane”.
Quest’ultima è una delle tre punte di diamante del disco assieme alla romantica “Che diritti ho su di te?” e all’ironica (ma allo stesso tempo malinconica) “Se avessi cinquant’anni”.
La prima viene cullata nelle sue atmosfere dark dalla chitarra suonata con l’e-bow da Bruno Dorella e dai cori di Stefania Pedretti. “Che diritti ho su di te” racconta un’amore a distanza che vive di incomprensioni e gioie, mentre “Se avessi 50 anni” è una doppia riflessione: sul futuro di Bugo e sul presente di Joe Valeriano che qui canta con lui. Divertente la strofa “Se avessi cinquant’anni smetterei di fumare… i sigari cattivi”.
Troviamo così un Bugo meno incline alla battuta, ma più riflessivo e malinconico. Un cantautore che si è rintanato nella sua casa a rimuginare e che ne è uscito con una manciata di canzoni sofferte che rispecchiano tutto il suo lato più pensieroso.
Un lato però che viene controbilanciato da “Arriva Golia!”, dove l’hip hop, le tastiere anni ’80, i sintetizzatori e la voglia di fare festa la fanno da padroni. A tessere le fila c’è Rico, componente della crew Uochi Toki alla prima prova come produttore.
Il risultato è frizzante, disomogeneo e mette sul piatto tutto l’estro del musicista: dieci canzoni divertenti che vanno dal pop-rock di “Carla è Franca” (primo singolo estratto dal disco), al rap sgangherato di “Hasta la schiena siempre” e “Devo fare un brec”, passando per il rock di “Caramelle” e il pop di “Sintetizzatore”. Quest’ultima è una delle canzoni più divertenti mai scritte da Bugo e, se ben sfruttata, potrebbe diventare un tormentone estivo.
Non sappiamo in che modo Vernetti abbia rielaborato il materiale registrato da Bugo, ma il risultato è quasi sempre originale, divertente e, talvolta, spiazzante. Bugo si scatena a scrivere strofe surreali e giocose come in “Devo fare un brec” in cui canta “Mi sento un toast se mi mangio un toast, mangio un togo e mi sento togo”, o in “Spargimento di sangue” (“Sbaglia il caldo a fare caldo”).
“Golia & Melchiorre” dopo lunghi ascolti si rivela così un disco coinvolgente e piacevole che convince sià nel suo lato più triste che in quello più frizzante. Propabilmente una maggiore selezione dei brani avrebbe permesso di pubblicare un lavoro più a fuoco, ma avrebbe sicuramente tarpato le ali ad un artista che da sempre ci ha abituato all’iperproduttività.
Bugo si conferma ancora come uno dei musicisti italiani più estroversi e brillanti usciti negli ultimi anni. Un artista che va lasciato libero di crescere e inventare.
(Giuseppe Fabris)
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