Cappellani militari, un lusso che ci costa milioni di euro e di esborsi non regolamentari ...

L'Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razinalisti) è entrata in possesso di una lettera da cui esce un'altra delle mille storie inquietanti di finanziamenti poco trasparenti alla Chiesa cattolica. Per di più si tratta di "soldi facili" ai cappellani militari sempre pronti a parlare il linguaggio della retorica dei valori della guerra. Ultimamente una lettera di Pax Christi chiede loro un momento di resipiscenza di fronte ai distrastri che la guerra sta procurando nel mondo.
 
A cosa servano oggi i cappellani militari non è ben chiaro. E’ invece chiarissimo che il loro costo grava sulle casse pubbliche. L’Uaar, nella sua inchiesta I costi della Chiesa, lo ha stimato in dodici milioni di euro ogni anno. Una cifra che andrebbe però rivista al rialzo, perché non comprende i “costi di aggiornamento spirituale”. Anche quelli, si è scoperto, sono a carico di tutta la cittadinanza.
Mons. Vincenzo Pelvi, attuale ordinario militare per l’Italia, ha infatti deciso di organizzare anche quest’anno un raduno di tutti i cappellani militari, allo scopo di assicurare loro l’indispensabile “aggiornamento spirituale e culturale”. Il meeting, come già nel 2011, avrà luogo nella “pacifica” Assisi tra il 24 e il 27 settembre prossimi. Anche il luogo prescelto è consolidato e per nulla bellicoso: la Casa Domus Pacis, un hotel di proprietà dei frati minori francescani.
L’Uaar è entrata in possesso di una copia della lettera di convocazione inviata dall’arcivescovo Pelvi a tutti i cappellani in carico a Difesa, Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza. Durante il seminario, la partecipazione al quale è “obbligatoria”, i cappellani saranno “ospitati” presso la stessa Casa Domus Pacis al costo di 75 euro al giorno per la pensione completa. Ovviamente a carico del bilancio della forze armate. Poiché i cappellani militari sono circa duecento, l’esborso ai frati minori già si avvicina ai 60.000 euro. Ma la spesa non finisce ovviamente qui, perché a tale cifra occorre aggiungere gli importi dei biglietti di aereo/treno per i viaggi di andata e ritorno, e persino “l’indennità di missione nazionale”. Tutte spese a carico dei reparti di appartenenza.
Considerato che il regolamento vigente in materia di missioni in territorio nazionale prevede per tutto il personale militare l’obbligo di usufruire di vitto e alloggio presso le strutture militari (a costo dunque pressoché irrisorio per le casse pubbliche), non si capisce perché i cappellani, che sono inquadrati come ufficiali e che portano le stellette sul proprio abito talare, debbano invece sentire l’esigenza di disporre di una struttura privata esterna. Che guarda caso è di proprietà di altri religiosi, apparentemente indisponibili ad accogliere gratuitamente i propri confratelli. Nonostante l’uso ostentato del concetto di “Accoglienza francescana” nella mission dell’albergo.
Il costo di 75 euro appare peraltro anche fuori mercato, tant’è che la stessa Domus Pacis pratica alla clientela “normale” prezzi inferiori (e per una pattuglia così numerosa ci si aspetterebbe peraltro di veder praticati forti sconti). Servizi extra, o c’è qualcosa che non quadra? Quando c’è di mezzo il finanziamento della Chiesa, non si riesce mai a vedere la luce in fondo al tunnel …
Proprio sui cappellani militari, nei giorni scorsi è stata pubblicata sul Manifesto un’inchiesta di Luca Kocci. Fatto raro, perché dei cappellani si parla assai raramente. Manca pertanto una diffusa informazione sui loro costi.
Nonché sulla loro funzione. Il cristianesimo, in origine, vietava ai soldati addirittura il battesimo. Poi, con la nascita dell’impero cristiano costantiniano, le cose cambiarono, e i religiosi cattolici in guerra cominciarono ad assolvere la medesima funzione svolta dai loro omologhi di altre religioni: cercare di dare un senso all’attività di uomini che rischiavano la pelle per ragioni a loro spesso incomprensibili. Ma oggi, in uno stato laico che nella sua Costituzione afferma di ripudiare la guerra, che senso ha un corpo di sacerdoti militarizzati, al cui vertice sta un vescovo nominato dal sovrano di uno stato estero, e che andrà in pensione con il grado e con gli emolumenti di generale di brigata?
Il cardinal Bagnasco, un ex ordinario militare che è riuscito a diventare capo dei vescovi italiani, potrebbe cercare di risponderci con cognizione di causa.
www.uaar.it 

Nessun commento: