Monti liberalizza anche le scorie radioattive...

Saluggia, nel vercellese, resta la capitale dell’atomo italiano, con circa l’85% dei rifiuti italiani stoccati. E non perché il governo lo abbia deciso, ma perché continua a non decidere.
Il deposito nazionale doveva essere costruito entro il dicembre 2008, ma non è stato ancora scelto neppure il posto. Qui era stata bandita una gara per un impianto di solidificazione delle pericolosissime scorie liquide, ma la Sogin ha «sospeso in autotela» anche quello, a gennaio. Tutto bloccato e tutto da rifare. Così gli scarti radioattivi rischiano di rimanere qui, provvisoriamente stabili. Nella golena del fiume…  
Sedata dopo il referendum, la bagarre sul nucleare sta per riaprirsi per un articolo contenuto nel decreto del governo Monti sulle liberalizzazioni. Nascosto tra articoli che hanno avuto finora più eco, c’è infatti spazio anche per l’atomo. Anzi, per i suoi scarti, le scorie. L’articolo 25 (accelerazione delle attività di disattivazione e smantellamento dei siti nucleari) vorrebbe dare impulso al decommissioning e rendere più facile l’autorizzazione di nuovi depositi nucleari, in deroga – se necessario – a procedure ordinarie. «Se fosse approvato autorizzerebbe i nuovi depositi nucleari nei siti a rischio», denuncia Gian Piero Godio, instancabile antinuclearista piemontese di Legambiente, che se non avesse setacciato ogni angolo del decreto non avrebbe scovato una norma sfuggita ai più.
Tra i siti meno idonei la palma d’oro spetta a Saluggia, in provincia di Vercelli, che delle scorie è la capitale (è qui stoccato l’85% dei rifiuti radioattivi del nostro Paese, tra cui oltre 300 metri cubi liquidi a più alta radioattività): depositi temporanei nella golena della Dora Baltea e a monte dell’acquedotto del Monferrato.
«L’articolo 25 toglierebbe ai Comuni la possibilità di decidere se un impianto nucleare può essere realizzato o meno», sottolinea Godio. Due parlamentari del Pd, Luigi Bobba e Roberto Della Seta (eletti nel vercellese) – che sostengono Monti come tutto il partito di Bersani – annunciano, però, battaglia: «Se passasse così com’è, Saluggia diventerebbe la discarica delle scorie nucleari italiane, senza bisogno di ottenere le autorizzazioni ambientali, urbanistiche e di sicurezza previste dalla legge per tutte le nuove infrastrutture. Per questo, proporremo al Senato e alla Camera modifiche radicali all’articolo e ci auguriamo che il governo non insista su una via totalmente inaccettabile».


Sono decenni che a Saluggia si aspetta una soluzione che non arriva: una scelta definitiva sulle scorie radioattive. L’impianto Eurex e il deposito Avogadro fanno infatti di questo borgo vercellese di appena 4.105 abitanti la capitale atomica italiana. È stoccato qui l’85% dei rifiuti radioattivi del nostro Paese, tra cui oltre 300 metri cubi liquidi a più alta radioattività. Collocati in un luogo che più inappropriato non potrebbe essere: nella zona golenale della Dora Baltea. A ogni alluvione è un allarme. Nel 2000, quando l’impianto Eurex fu allagato, si sfiorò, secondo Carlo Rubbia (al tempo presidente Enea), «una catastrofe planetaria». Più a valle ci sono il Po e i pozzi dell’acquedotto del Monferrato. Zona sensibile, anche per la sicurezza. Si spiega così la presenza dell’Esercito nei momenti delicati della vita politica e internazionale. I militari sono riapparsi in forze anche in questi giorni, dopo l’inizio dei raid sulla Libia.
Quella del nucleare a Saluggia sembra una storia senza fine. Barre che vanno per poi tornare (a La Hague, in Francia e prima ancora a Sellafield, in Gran Bretagna), scorie che restano senza farsi solide, depositi quasi in cantiere che preoccupano non solo gli ambientalisti (si chiama D2 e c’è chi teme possa diventare quello «nazionale») e altri impianti che rimangono sulla carta. Sospesi. Annullati?
È il caso di Cemex, l’impianto per cementare le scorie liquide, lo stato fisico più pericoloso, per poi trasferirle altrove una volta solidificate. «Un progetto – spiega Gian Piero Godio, responsabile Energia di Legambiente Piemonte e un tempo tecnico Enea proprio a Saluggia, «che vedeva d’accordo tutte le parti». L’autorizzazione alla costruzione era stata data nel 2005. A gennaio, la Sogin (Società gestione impianti nucleari), «in autotutela», ha deciso di sospendere la procedura di appalto per i lavori di realizzazione e avvio dell’impianto in grado di trattare 230 metri cubi di rifiuti radioattivi liquidi a media e bassa attività (la gara prevedeva un importo di appalto pari a 144,6 milioni di euro). «Non c’è nulla di strano, né motivo di scandalo. Solo aspetti amministrativi. Rifaremo il bando», assicura l’ufficio stampa della Sogin. Storia chiusa, parrebbe. «Mi permetterei però di essere scettico», ribatte Godio, «se un bando è imperfetto, un ente ne emana un altro corretto. Non lo annulla, se è intenzionato a proseguire il progetto. Forse la decisione dipende dai nuovi equilibri politici (con il cambio di governo, da Prodi a Berlusconi, è cambiato pure il vertice della società, ndr) o forse dalla volontà di tirare a campare».
E se per il responsabile di Legambiente, la Sogin «è specializzata nel far finta di procedere al decommissioning (smantellamento degli impianti nucleari) più che di attuarlo davvero», l’azienda rivendica un’attenzione all’ambiente e alla sicurezza e il lavoro svolto finora, presentato nell’ultimo Tavolo della trasparenza in Regione Piemonte: il trasferimento al vicino deposito Avogadro del combustibile contenuto nella piscina dell’impianto Eurex, destinato al riprocessamento in Francia; la demolizione della torre piezometrica e la dismissione definitiva dei vecchi pozzi. E, ancora, la bonifica della piscina Eurex, che perdeva. Ma, nonostante gli interventi, la paura di Saluggia rimane. Soprattutto quella che i siti temporanei diventino permanenti e sia questa, di fatto, la sede del sito del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, che doveva essere costruito entro il 31 dicembre 2008 (legge 368/2003), ma di cui si è persa traccia.
A breve, nell’area, potrebbero aprirsi i cantieri per il deposito temporaneo D2 per lo stoccaggio dei residui radioattivi di categoria 1 e 2 (meno pericolosi di quelli di terza), sostenuto dall’amministrazione comunale e contestato dall’opposizione di centrosinistra e dalle associazioni ambientaliste, che sono ricorse al capo dello Stato. Avrà dimensioni imponenti, undici metri d’altezza e un volume di 46 mila metri cubi; numeri che ai detrattori lo fanno apparire come tutt’altro che passeggero.
Pare strano, ma a Saluggia una centrale non l’hanno mai avuta (quella di Trino Vercellese è a 25 chilometri di distanza). La grande quantità di scorie arrivò con l’entrata in funzione dell’Eurex (1970), l’impianto di riprocessamento dei combustibili nucleari, di proprietà dell’Enea e ora in gestione alla Sogin. Arrivarono elementi di combustibile irraggiati, e rifiuti radioattivi da essi derivati, provenienti non solo dalle quattro centrali atomiche italiane, ma anche dal Canada (Pickering). Nessuna sostanza radioattiva presente nel sito Eurex, insomma, è stata prodotta nell’impianto, dove non è mai esistito un reattore nucleare. Più in là, sorge il deposito Avogadro, lo realizzò la Fiat a fine anni ’50 come reattore nucleare sperimentale. All’interno sono custodite 164 barre di combustibile atomico, destinate al riprocessamento francese (il primo carico è partito a inizio febbraio). Torneranno in Italia entro il 2025, senza il plutonio, ma ancora radioattive per secoli e secoli. E torneranno a Saluggia, se ancora non sarà stato individuato il deposito nazionale.
MAURO RAVARINO per LINKIESTA.IT

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