Per non disturbare troppo monarchici & leghisti...

CASALBORGONE/ITALIA - Sono le otto di domenica mattina e mia moglie si alza per aprire la porta al gatto. Penzolante dalla ringhiera della scaletta che porta alla torre del "Leu" vede la bandiera italiana, o meglio una sua parte, ridotta a uno straccio. In alto, dov'era stata malamente issata un giorno o due prima, rimane solo il verde. Certo sono stati il vento e la pioggia battente a appesantire e ridurre a brandelli una bella vecchia bandiera, non più adatta all'esposizione all'aperto: ma, siccome nulla come una bandiera ha un valore simbolico, non si può non pensare che questa "caduta" assurga a simbolo della sufficienza con cui questa amministrazione intende celebrare il 150° dell'Unità. Ed è fin troppo facile aggiungere il cattivo pensiero che questa bandiera a brandelli ben rappresenti lo stato del paese (inteso sia come Casalborgone sia come Italia) dopo le amorevoli cure di amministrazioni e governi di destra. E tutto ciò avviene, per ironia della sorte, proprio nel luogo in cui l'amministrazione vorrebbe inventarsi una piazzola da intitolare a Umberto II! Se fossi superstizioso, vi vedrei un triste presagio.
Ma torniamo alle celebrazioni. Che cosa propone il Comune? Il 16 sera, una non meglio identificata mostra di libri storici, nei locali purtroppo angusti della biblioteca; il 17, alzabandiera (sic!) alle 8 del mattino presso il monumento ai caduti (come la bandiera! doppio sic!). Basta così. Tutti i paesi dei dintorni, anche se più piccoli di Casalborgone, faranno qualcosa di più: ma qui forse si vuole evitare di indisporre i monarchici e magari i leghisti. Ancora più significativa è però l'immagine con cui il manifesto del Comune presenta l'evento. Si vedono due bandiere, quella sabauda (1861) e poi quella repubblicana (2011), sotto le quali campeggiano rispettivamente lo stemma della monarchia e della repubblica: le due bandiere sono collegate da tre cordoni. Si suggerisce in questo modo non solo una pari dignità storica tra il periodo monarchico e quello repubblicano ma anche l'idea di una sostanziale continuità storica: si omette – a questo punto, dopo tutte le polemiche di questi giorni, volutamente – di riconoscere che ci fu una netta cesura storica, segnata dalla guerra di liberazione partigiana dal nazifascismo e suggellata dal referendum del 1946. Una nuova Costituzione per una nuova forma di Stato, dopo la pessima prova di sé che avevano dato gli ultimi Savoia. Qualcuno ha detto che ci furono anche partigiani di sentimenti monarchici, ed è vero. Ma il loro indiscusso comandante, Enrico Martini "Mauri", prima di tornare da queste parti a organizzare le formazioni autonome della Resistenza, cercò di difendere Roma dai tedeschi, a differenza di Umberto II che fuggiva a Brindisi. Differenza enorme, che mio zio Ermanno Vitale, partigiano nelle fila degli azzurri di Mauri, caduto al ponte di Perletto e medaglia d'argento della Resistenza, aveva compreso bene. A proposito, mio zio, che era ebreo, aveva capito un'altra importante differenza: il re Carlo Alberto aveva riconosciuto nel 1848 i pieni diritti civili e politici alla minoranza ebraica, Vittorio Emanuele III e suo figlio Umberto II non avevano mosso un dito neppure di fronte alle leggi razziali del 1938. Basterebbe questo, caro Sindaco, a rendere vergognosa l'intitolazione di foss'anche un solo metro quadro al re di maggio.
Ermanno Vitale.

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