Il film di gennaio 2011...

 
"The social network"
Recensione a cura di Domenico CENA. 
“The social network” è un film interessante più che ciò che rappresenta, cioè la crisi attuale di un certo cinema hollywoodiano, che per quello che racconta e i modi in cui lo fa.
L’ultimo lavoro di David Fincher, regista in chiara fase discendente, come testimoniato anche dal suo film precedente, il deludente “Il curioso caso di Benjamin Button”, ricostruisce la storia di Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook, ma non riesce a sollevarsi dagli stereotipi più convenzionali, o non vuole farlo, nonostante le parvenze di novità che allestisce in superficie. Si sa, il cinema più in negli Usa disprezza le ideologie e i generi, e snobba le regole del racconto in nome di una presunta freschezza e originalità, che spesso si rivela soltanto opera di mirabolanti effetti speciali o novità tecniche (in questo caso, l’uso di telecamere digitali ad altissima risoluzione). Sotto sotto, però, al di là di una vicenda che viaggia a ritmi da spot pubblicitario verso non si sa dove, rimane poco o nulla.
Qui è emblematico già il vertiginoso dialogo iniziale, in cui il giovane Zuckerberg, geniale e un po’ arrogante, ma anche sprovveduto e isolato neofita di Harward, si fa scaricare dall’unica ragazza a cui tiene veramente. Estro e sregolatezza, frustrazione e sfrenata ambizione, lo stereotipo del genio maldestro è confezionato, siamo fin da subito in un mondo da favola, o virtuale e da lì non si esce più. Partito dal nulla, attraverso una serie interminabile di incontri, scontri e processi, il buon Mark diventerà il più giovane miliardario del pianeta, ma nella scena finale lo ritroveremo solo e disadattato come all’inizio.
Cosa ci dice di nuovo tutto questo sull’America di oggi o su di noi? Praticamente nulla. A meno che uno non voglia aderire in modo assolutamente acritico al personaggio e convincersi che negli Usa (e magari anche nell’Italia berlusconiana, dove non si trova un posto di lavoro se non si è parenti di qualcuno) ci sia spazio e opportunità per realizzare il genio che è in noi, pagando il prezzo (neanche poi tanto gravoso, se si pensa ai miliardi che uno si farà in poco tempo) di una relativa solitudine e di un illimitato e spietato cinismo, tipico anche questo dello stereotipo del neocapitalismo americano. Nel frattempo, però, ci si potrà consolare con un sacco di ragazze sedotte dal mito alternativo del rampante introverso, qualcuna anche minorenne (qui un parallelo con l’Italia di oggi magari ci starebbe anche).
Siamo su facebook, appunto.   
 
 

Nessun commento: