Come  Ermanno Vitale (in un post precedente) scrive nella sua recensione, l'ultimo libro libro di Marco Revelli "Poveri, noi" contiene molti  dati sulla situazione economica e sociale dell’Italia: essi dimostrano che il  paese è spesso collocato agli ultimi posti dell’Unione Europea, appena sopra  agli stati membri più poveri, come la Bulgaria, la Romania, la Grecia...  
Qui di  seguito trovate qualche esempio piu' che significativo.
PIL:  CROLLO DELL’ITALIA
Pagg.  24-25. Fonte Eurostat (l’agenzia statistica ufficiale dell’Unione  Europea)
Periodo  1998-2009.
Fatta  uguale a 100 la media annuale del Prodotto interno lordo pro capite di tutti gli  Stati dell’UE (comprendendo dunque sia i membri originari dell’Europa a 15 sia i  nuovi che si sono aggiunti con gli allargamenti successivi), i dati mostrano il  crollo dell’Italia. 
I  paesi che al loro ingresso nella UE erano molto in basso hanno guadagnato dei  punti: la Bulgaria, partita nel 1998 al fondo della scala con 27 punti, nel 2009  è salita, pur restando l’ultima, a 42. L’Ungheria è salita da 54 a 63. E la  Polonia da 48 a 61.
Sono  invece un po’ scesi i paesi originari dell’UE, che erano ricchi: la Germania è  scesa da 122 a 116 (anche in seguito all’unificazione con la parte orientale);  la Francia è scesa da 115 a 107; il Belgio da 123 a 115; Olanda, Finlandia,  Svezia, Regno Unito sono rimasti praticamente stabili
L’Italia  era nel 1998 a 120, venti punti sopra la media europea: in soli dieci anni è  scesa a 102, perdendo 18 punti: è il paese che ha fatto peggio di  tutti...
Nel  frattempo, persino la Spagna saliva: da 95 a 104, superando l’Italia, e il  Portogallo restava quasi stabile (da 79 a 78). 
POVERTA’
Pagg.  31-34
Fonte:  indicatore europeo Eu-Sil che misura la popolazione “a rischio di povertà”.  
Nel  2007,  l’ultimo anno prima della grande crisi esplosa nel 2008, l’Italia  aveva già il 20% di abitanti a rischio di povertà:  al quart’ultimo posto, appena sopra la Lettonia (21%), la Bulgaria (22%), e la  Romania (25%). 
Con  questo 20% l’Italia è quasi alla pari con Grecia e Spagna ed è molto distante  dalle altre principali nazioni del continente: Olanda 10%, Slovacchia e Svezia  11%, Danimarca e Ungheria 12%, Francia e Finlandia 13%, Germania e Belgio  15%.
 RETRIBUZIONI
Pagg.  53 e sgg. Dati  ISTAT Rapporto annuale 2009. 
Dal  2000 al 2009, rispetto alla media europea l’Italia ha perso 12 punti  percentuali:  era 4 punti sopra la media, in sette anni è scesa a 8 punti sotto la media.  
L’Ocse  ha monitorato i salari dei lavoratori in 30 paesi dal 2000 al 2007: l’Italia si  colloca al ventitreesimo posto. In Italia in questi sette anni le retribuzioni  nette sono cresciute solo dello 0,1%. Solo la Spagna è stata “piatta” come noi.  Mentre in Francia e Austria le retribuzioni nette sono salite del 6-7% e in  Finlandia del 22%. 
DATI  Ocse 2008 riferiti all’anno prima: il salario medio italiano era 16.242 euro  l’anno. Sotto del 42% rispetto a coreani e inglesi (oltre i 28.000 euro); del  37% rispetto ai giapponesi, del 23% rispetto ai tedeschi e del 18% rispetto ai  francesi. I salari italiani in quel 2007 erano inferiori persino a Spagna e  Grecia: inferiore del 6,7% rispetto ai lavoratori spagnoli e del 2,8 rispetto ai  greci.
PRODUTTIVITA’  DEL LAVORO.
Pagg.  61-63. In  Italia i profitti delle imprese sono saliti molto dei salari: ma le imprese non  hanno investito nella produttività, la cui crescita è risultata tra le più basse  tra i principali paesi industrializzati. Fatto uguale a 100 il livello della  produttività nel 1998, nel 2007 l’Italia è salita solo al 102,9. Mentre negli  Usa la produttività è salita del 25%, nel Regno Unito del 20%, nella Francia del  12%, nella Germania dell’8,5% e in Spagna del 5%.
Perché  la produttività è scesa? Perché le imprese hanno impiegato sempre più i loro  profitti in operazioni finanziarie e li hanno destinato sempre meno agli  investimenti. Fatti uguale a 100 nel 1980 gli investimenti, alla fine del  decennio erano scesi a 80 e addirittura a 60 subito dopo il protocollo del 1993,  per poi stabilizzarsi attorno al 70 all’inizio del nuovo secolo.  
Del  resto, nel primo quinquennio del secolo l’investimento nella ricerca in Italia è  stato appena l’ 1,1% del Pil, contro una media europea del  2%.
SPESA  SOCIALE AI LIVELLI PIU’ BASSI  Pp.  121-123.
Fonte  Eurostat. Spese per le politiche  minorili e di sostegno alle famiglie (nella codificazione Eurostat à la voce  Family end  Child ): i paesi europei nel 2007 hanno  speso in media il 2,1 del proprio Pil. La Danimarca arriva al 3,7%, la Germania  al 2,8% e la Francia al 2,5%. L’Italia – nonostante la retorica sulla famiglia  presente nel linguaggio dei politici – ha speso solo l’ 1,2%, e così si colloca  agli ultimi posti, sotto la Spagna, e al livello dei Paesi baltici, del  Portogallo e della Polonia. 
Spese  per l’esclusione sociale (social exclusion): la media europea nel  2007 è di 84,3 euro dell’Europa a 27. L’Italia ha investito solo 12,9 euro per  abitante (dunque circa un sesto della media europea), in assoluto il valore più  basso tra i paesi europei, contro i 558 dell’Olanda, i 221 della Danimarca, i  122,2 della Francia, i 48,7 della Germania. 
Del  resto solo Italia, Grecia e Ungheria non si sono dotati di un qualche strumento  di garanzia di un reddito minimo. 
  (Nota  a cura del Centro di documentazione “Paolo Otelli”).
1 commento:
Questi dati, che qualunque politico dovrebbe conoscere da tempo, potrebbero essere i punti di partenza per un programma dei nostri rammolliti partiti di opposizione, che invece si trastullano con giochi di palazzo. Mi pare che anche a Chivasso si sia in un sonno profondo.
Gino
Posta un commento