Il libro del mese...gennaio 2010...





 Angelo d’Orsi
"Il futurismo tra cultura e politica.
Reazione o rivoluzione?"

Salerno Editrice, 2009 - euro 18.

Recensione a cura di Piero MEAGLIA.


Nel 2009 ricorreva il centenario del Manifesto del futurismo di Filippo Tommaso Marinetti. Il manifesto in cui si definisce la guerra «sola igiene del mondo» e si predica «il disprezzo della donna». I rapporti tra gran parte dei futuristi e il fascismo sono un dato acquisito dalla storiografia. Tuttavia, già in un articolo comparso il 19 marzo sul quotidiano torinese  «La Stampa», Angelo d’Orsi metteva in guardia da ciò che sarebbe accaduto: una gran quantità di celebrazioni, nelle grandi e nelle piccole città, e una rivalutazione del futurismo che si sarebbe accompagnato alla dimenticanza delle sue compromissioni con il mussolinismo. Un altro segno del revisionismo storico in corso. Il sottotitolo dell’articolo era: «Ma il futurismo non era un gioco. L'anniversario celebrato con grottesca goliardia: dimenticati il culto della violenza e il fascismo».
Studioso di Gramsci, d’Orsi ne ha ben presente il giudizio sui futuristi: «rivoluzionari nell’arte, reazionari in politica». Ci pare che egli stabilisca il rapporto tra futurismo e fascismo in due modi. Uno diretto, mediante il quale con fatti e scritti documenta lo stretto legame tra i due movimenti. E uno indiretto, mediante il quale dimostra come il futurismo, con il suo culto della guerra, faccia parte di un più ampio schieramento il cui carattere principale è il nazionalismo, e nel quale confluiscono, oltre ai futuristi, i nazionalisti in senso stretto, gli arditi, i mussoliniani e altri gruppi. Uno schieramento che diviene man mano un grande movimento reazionario che mira ad abbattere il socialismo e la democrazia: e con l’avvento del fascismo ci riuscirà.
Il volume contiene in appendice centoquaranta pagine di testi di Marinetti e di altri futuristi. Non abbiamo dunque che l’imbarazzo della scelta.
Riguardo al rapporto diretto con il fascismo, fanno testo titoli come i seguenti: Discorso al I Congresso dei Fasci di combattimento (1919), Opinioni sull’arte fascista. L’arte fascista futurista (1927), Definizione dello squadrista (1939), e il famigerato, e qualche mese fa declamato ai chivassesi nel teatro nobile della città, Quarto d’ora di poesia della X Mas (1944). E fanno testo discorsi e scritti come questi: «I futuristi italiani […] dicono al loro vecchio compagno Benito Mussolini: con un gesto di forza ormai indispensabile liberati dal parlamento […] Schiaccia l’opposizione clericale anti-Italiana di Don Sturzo, l’opposizione socialista anti-Italiana di Turati e l’opposizione mediocrista di Albertini» (1924). E «in carcere con Mussolini nel 1919 a Milano per attentato fascista alla sicurezza dello Stato e organizzazione di bande armate […] noi Futuristi siamo lieti di salutare nel Duce un meraviglioso temperamento futurista. Con Mussolini il fascismo ha ringiovanito l’Italia (1933)».
Riguardo al rapporto indiretto con il fascismo, quello che passa attraverso la comune appartenenza al vasto e composito movimento nazionalista, d’Orsi ricorda che Marinetti manifestò la sua passione per la guerra per tutta la vita, non solo quando nel 1909 proclamò la guerra «sola igiene del mondo». Non perse alcuna occasione: esaltò la guerra di Libia (1911), fu interventista nel 1915, celebrò le guerre d’Africa dell’Impero (1935), nel 1942, a 65 anni, partì volontario per la Russia, e la notte prima di morire, tra il 1° e il 2 dicembre 1944, scrisse l’inno alla guerra antipartigiana delle milizie repubblichine componendo i versi in lode della X Mas. Due citazioni per tutte. Corrispondente di guerra in Libia esclama: «V’invidio, v’invidio, obici danzanti e pazzi! […] oh, come deve essere bello far saltare così le innumerevoli schegge del proprio corpo metallico negli occhi, nel naso, nel ventre orribilmente aperto dei nemici!». Nel 1935 scrive un Invito alla guerra africana: «Questa guerra africana è: 1) il modo più sintetico per riassumere oggi la propria vita servendo la nuova Italia di Mussolini; 2) la più schietta precisatrice dei nostri valori spirituali; 3) la nostra più bella velocità simultaneità umana; 4) l’interpretazione perfetta dell’africanismo ardore lirico della nostra penisola; 5) la più abile intensificatrice di tutti i nostri piaceri; 6) lo sport integrale, ecc.».
Molti fili collegano questo libro al resto della produzione intellettuale di Angelo d’Orsi. Vi ritroviamo infatti i temi a cui ha dedicato gran parte dei suoi studi: il nazionalismo, il fascismo, la guerra e la condotta degli intellettuali di fronte a questi avvenimenti. Ne citiamo alcuni. Nel 1971 pubblica La macchina militare e l’anno seguente La polizia (entrambi da Feltrinelli). Nel  1981 cura e introduce l’antologia I nazionalisti (Feltrinelli) e nel 1988 dà alle stampe Le dottrine politiche del nazionalfascismo 1896-1922 (Alessandria, wr editoriale). Dalla rielaborazione di queste due opere è nato Da Adua a Roma. La marcia del nazionalfascismo 1896-1922 (Torino, Nino Aragno editore, 2007), nel quale esprime la convinzione che «il nazionalismo sia la più forte ideologia politica del Ventesimo Secolo, i cui risultati esecrandi si allungano, cupamente, sul Ventunesimo: più che mai oggi assistiamo ai guasti e agli ulteriori rischi di quel processo di creazione delle nazioni, di cui è responsabile il nazionalismo, con il corredo di vera invenzione di tradizioni, di nobilitazioni di dialetti a "lingue" nazionali, di creazione di confini».
Intanto era iniziata la sua ricerca sul comportamento degli intellettuali in momenti cruciali della storia italiana del secolo scorso: La cultura a Torino tra le due guerre (Torino, Einaudi 2000) e Intellettuali del Novecento italiano (Torino, Einaudi, 2001), e la raccolta di saggi Allievi e maestri. L’Università di Torino nell’Otto-Novecento (Torino, Celid, 2002). Tre anni fa esce I chierici alla guerra. La seduzione bellica sugli intellettuali da Adua a Baghdad (Torino, Bollati Boringhieri, 2007). D’Orsi vi «indaga e racconta la seduzione esercitata dalla guerra sugli intellettuali italiani» […]. Ripercorre la storia di questa «fascinazione», che «passa per Adua (1896), la campagna di Libia (1911-1912), dalla battaglia per l'intervento nella Grande guerra alle esaltazioni per l'Etiopia e la "conquista dell'Impero", e alla Seconda Guerra Mondiale». Che non si arresta al termine del grande conflitto mondiale, ma continua nelle guerre calde della guerra fredda «fino alla guerra infinita post-1989»: la guerra del Golfo, i Balcani, l’Afghanistan, l’Irak. Il bellicismo  ha raggiunto le sue forme più deliranti nella stagione degli "esteti armati" di destra (da Marinetti a d'Annunzio)». Ma ha contagiato anche intellettuali democratici e progressisti (da Salvemini e Bissolati fino a Bobbio e Michael Walzer). Certo in modo diverso: ben lontani dal culto estetico e irrazionale della guerra, di tutte le guerre, alla Marinetti, gli intellettuali progressisti hanno prodotto concetti e argomenti a sostegno di determinate specie di guerre "giuste", " democratiche", " umanitarie" "etiche", che tuttavia, secondo d’Orsi, non convincono e non bastano ad assolverli. Al rapporto fra intellettuali e guerra aveva già dedicato il saggio Il compito degli intellettuali, nel volume da lui curato Guerre globali. Capire i conflitti del XXI secolo (Roma, Carocci, 2003).
Pochi mesi fa d’Orsi ha pubblicato 1989. Del come la storia è cambiata, ma in peggio (Milano, Ponte alle Grazie, 2009). Come indica il titolo, il libro sostiene una tesi controcorrente. Diversamente dalle attese, dopo il crollo del Muro di Berlino il mondo è peggiorato non migliorato: «Doveva essere pace, è stata guerra, un proliferare di guerre atroci e pretestuose. Doveva sorgere la giustizia: si è accresciuto il potere politico ed economico di un’oligarchia globale […]. Doveva espandersi il benessere: si è estesa la fame e, anche da noi, la povertà. Doveva rafforzarsi la democrazia: è stata svuotata e affossata dalle menzogne dei politici, dal restringimento dei diritti, dal silenzio complice di intellettuali asserviti».
(scheda a cura del Centro di documentazione Paolo Otelli di Chivasso)

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