In cassa integrazione anche i «re-inseritori»
TORINO - La crisi più va avanti e più scatena paradossi. Può succedere che chi si occupa del reinserimento dei disoccupati si trovi lui stesso in cassa integrazione. Capita a Torino, alla Csea, importante agenzia formativa a capitale privato e pubblico (il Comune ha il 20%) con dieci sedi in Piemonte. La scorsa primavera ha denunciato un deficit di quasi 2 milioni di euro e chiesto 80 esuberi. Per ora nessun licenziamento, ma i 320 dipendenti sono tutti in cassa e senza percepire un euro. Va avanti così da metà giugno: niente stipendio, niente cassa retribuita e nemmeno ferie pagate. Anche se c'è un accordo - voluto dagli enti locali e firmato il 29 luglio - in cui si stabilisce che l'azienda, in cambio della cassa in deroga, si impegna a pagare gli arretrati. Tutto disatteso. «L'accordo è nato proprio per dare possibilità a Csea di acquisire dalle banche la liquidità necessaria a pagare gli arretrati, ma finora non abbiamo ricevuto un soldo», spiega Bruno Somale, delegato Flc-Cgil.«Vorremmo sapere i motivi reali per cui Csea non riesce ad avere finanziamenti dalle banche», afferma Gianni Grimaldi, che ha vissuto direttamente la controversa privatizzazione di metà anni '90, quando alcuni centri di formazione gestiti dal Comune furono assorbiti dal consorzio Csea. La ritrosia delle banche è probabilmente dovuta all'assenza di un vero piano di ristrutturazione. Grimaldi si rivolge poi al Comune, parte in causa: «Non ci lasci soli, si impegni a tutelare chi rimarrà senza lavoro e dica se vuole sfilarsi dal cda». Questa è una delle preoccupazioni che agita i lavoratori, ovvero che, in tempi di brunettiana razionalizzazione, al Comune non convenga più di tanto Csea. Butta acqua sul fuoco il vicesindaco Tom Dealessandri: «E' un'ipotesi che non sta né in cielo né in terra, la convenzione con lo Csea è stata rinnovata neanche due anni fa. Con la Regione siamo impegnati perché la situazione si risolva».
Intanto, la prossima settimana, in uno stato di mobilitazione permanente (deciso martedì in assemblea), inizieranno i corsi per i ragazzi che devono assolvere l'obbligo formativo. I dipendenti non vogliono bloccare il naturale svolgersi delle lezioni, però tutto parte nell'incertezza. Il consorzio quest'anno compie 30 anni, gli ultimi molto travagliati. Da tempo si parla di sovrannumero, fornitori e consulenti non pagati e strategie sbagliate, come l'acquisizione di istituti decotti. Certo, una delle ragioni della crisi sono i finanziamenti diminuiti: gli anni in cui l'Europa elargiva fondi a pioggia sono lontani. «Ma saranno calati del 10 o 15%, non del 30% come dichiara Csea», precisa Somale.
Ripercorriamo, allora, le tappe della crisi. A marzo vengono resi noti difficoltà di bilancio e piano di esuberi, ad aprile saltano ticket per il pranzo e incentivi. Un mese dopo viene comunicato lo stato di crisi e lo Csea reclama contratti di solidarietà, ma il sindacato si oppone. A giugno i lavoratori portano a casa metà stipendio. A luglio, su sollecitatazione anche dalla presidente della Regione, Mercedes Bresso, viene decisa la cassa in deroga per ottenere una liquidità immediata dalle banche. Intanto, la Regione prepara un fondo di rotazione a sostegno delle agenzie e l'azienda promette che, se le attività partiranno regolarmente, la prima tranche di liquidità arriverà il 25 settembre. Ma la situazione non si sblocca: partono presidi e scioperi. Cosa chiedono i lavoratori? Dall'azienda, un piano di ristrutturazione; dagli enti locali, un interessamento per il ricollocamento degli esuberi.
Mauro RAVARINO
per il Manifesto 08.09.
http://mauvanpelt.blogspot.com/
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