
Si è conclusa la consultazione sull' accordo del 23 luglio sul welfare, ed è andata sostanzialmente come tutti si aspettavano.
Al contrario di altri tipi di elezioni o di referendum, mai come per questa occasione vale una lettura approfondita e sufficientemente "pesata" dei dati emersi dalle urne sindacali. Interessante, ad esempio, sarebbe stato capire come sarebbero andate le cose se la triplice sindacale si fosse dovuta misurare non con un "governo-amico", ma con un governo di centrodestra come quello del nano di Arcore che c' era prima. In tal caso quasi certamente le segreterie sindacali non sarebbero arrivate alla consultazione senza una preventiva "azione di forza" come una manifestazione od uno sciopero per marcare la differenza, per provare a portare a casa qualche risultato in piu' sulla precarizzazione (legge 30), o sui lavori usuranti (estensione della platea degli aventi diritto). Invece non ci sono state azioni di nessun tipo, perchè, evidentemente, era già tutto previsto con millimetrica certezza, dalla percentuale dei votanti al risultato finale...
Aspetto particolarmente iniquo di questa sceneggiata è stato il far votare con gli "attivi" (lavoratori dipendenti) insieme ai "passivi" (pensionati). E' chiaro da tempo che questi ultimi avrebbero votato in massa per il Sì, visto che comunque dei risultati positivi li avrebbero portati a casa. Così la grande massa dei pensionati ha condizionato molto pesantemente l' esito finale di questa consultazione. Basta ricordare qualche semplice cifra: il sindacato pensionati della CGIL conta a livello nazionale 3.200.000 (tremilioni e duecentomila) iscritti; la combattiva FIOM-CGIL ne conta circa 350.000 (trecentocinquantamila). Da questa semplice considerazione si capisce subito che se la consultazione fosse stata sdoppiata, scorporando gli "attivi" dai "passivi", tutta la vicenda avrebbe preso un' altra piega...
In ogni caso, pur di fronte alla prevalenza dei Sì, questo voto manda al sindacato ed alla classe politica del centrosinistra un messaggio di sofferenza di vaste aree (basti pensare all' esito nelle grandi fabbriche torinesi), di cui sarà meglio tenere conto in tutta la sua complessità. Analogo discorso vale per il mondo della precarietà. Sulla carta avrebbero dovuto esprimersi anche loro, ma in quanti lo hanno fatto? Per il sindacalismo confederale è molto più semplice avere contatti con i pensionati che con il vasto e variegato mondo del lavoro precario. Molti di questi lavoratori atipici per forza non erano neanche a conoscenza di questa consultazione: del resto questa dell' informazione è una delle condizioni stesse della precarietà, dentro e fuori dal posto di lavoro. Un aspetto, questo, che il sindacato si dovrà far carico di recuperare in tutta fretta, prima che da soggetto che intende rappresentare la globalità del mondo lavorativo, si trasformi, con tutto rispetto, in un grande centro d' incontro per le pantere grigie.
Frediano.
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