Non era facile, non era scontato. A Roma, ieri, ha fatto la sua
irruzione un movimento nuovo. O meglio, una nuova fase di una vecchia
storia iniziata a Genova nel 2001. Un movimento che finalmente inverte
la tendenza e produce senso politico in una società che ormai ha ben
poco da dire e da scoprire consumata come è dalla crisi economica e
politica. Contro chi pensa di crescere sui propri cadaveri, la politica;
contro chi tira il sangue dalla povera gente e crede che questo sia
“fare impresa”, i cosiddetti imprenditori; contro chi il sangue lo
sparge senza ritegno e chiede per questo impunità, l’apparato militare
repressivo al servizio del potere. L’acampada dice a tutti: “Noi siamo
qui. E vogliamo lottare". Lottare per non farci massacrare dalla crisi,
innanzitutto. Perché la crisi non è un sostantivo neutro. E chi l'ha
creata va individuato. Chi ha messo le tende a Porta Pia lancia un
segnale preciso: “Non ci facciamo circondare e rinchiudere
nell’emergenza, vi fronteggiamo laddove voi state. Vi veniamo a
stanare”.
Aver ostinatamente cercato la saldatura tra i vari soggetti
di un magma sociale vivo è stata la chiave vincente. Aver saldato la
rivendicazione sindacale, a partire dal precariato, con la pratica dei
bisogni primari, come quello della casa, e la rivendicazione
dell’identità comunitaria di fronte alla violenza dei poteri
politico-affaristico-mafiosi ha aperto un orizzonte nuovo. Non aver
dimenticato la gloriosa vittoria della battaglia contro la
privatizzazione dell’acqua, e aver rimesso in campo con forza il diritto
ad essere cittadini del mondo ha dato alla giornata di ieri un respiro
senza precedenti.
Ora sta a noi non disperdere questa ricchezza e
applicare tutta l’intelligenza e le cure possibili per la sollevazione
autentica, quella che agisce in relazione ad un obiettivo preciso. La
società è viva, viva i soggetti sociali che la formano.
Troppo spesso
si dimentica che la crisi della politica non vuol dire niente se non la
si legge in relazione alla ristrutturazione corporativa degli apparati
politici. Il potere istituzionale oggi non è altro che il risultato di
un preciso calcolo fatto in altre sedi a cui gli schiavi in giacca e
cravatta si adeguano di buon grado perché garantisce loro di pascolare
impunemente. La società reale, che non pascola nello stesso prato o non
pascola affatto, comunque si muove alla ricerca di una sua identità. Non
sta mai ferma. Può anche sbagliare il tiro, come è accaduto con il voto
di rottura dato a Grillo, ma poi è pronta a ritentare per un nuovo
percorso. A un militante No Tav a cui ho chiesto cosa avessero in mano
dopo tutti questi mesi di sponda politica con l’M5S mi ha risposto:
“Niente, ci reprimono più di prima”.
E’ stupido e inconsistente dire
che in questa fase la qualificazione del movimento si gioca sulla
imitazione della pratica dell’antagonismo. La qualificazione ora si
gioca sulla connessione delle lotte perché solo in questo modo può
finalmente venir alla luce del sole quel lavorio che comunque è andato
avanti nella pratica sociale di questi anni.
E’ chiaro, di fronte al
vuoto totale di idee e programmi la borghesia, e gli apparati
politico-mafiosi che la compongono, le corporazioni d’affari, il potere
finanziario, potrebbero reagire con rabbia e violenza. Smontare ogni
volta la costruzione mediatico-militare sarà una delle sfide del
movimento, a cui non manca certo intelligenza e determinazione.
La
connessione non si articola con le parole, infine, ma con la costruzione
materiale delle vertenze. E su questo il movimento sconta più di
qualche ritardo. Superare le barriere che fino ad oggi ci hanno impedito
di acquisire obiettivi certi sarebbe già una grande conquista di
maturità. C’è ancora molto lavoro da fare. Ma, da questo punto di vista,
la crisi ha aperto e continuerà ad aprire spazi amplissimi. E quindi,
buona sollevazione a tutti.
fabio sebastiani.
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