L’arrivo di 10 avvisi di Garanzia al Sindaco di Settimo
Torinese Corgiat, a diversi dirigenti di quel comune e ad imprenditori facenti
parte della cordata che è in trattativa per l’acquisizione del 49% di SETA e
del servizio di igiene urbana per 15 anni, è solo l’ultima (per ora) pagina di
una situazione che da tempo manifesta il come
l’attuale sistema di gestione dei Rifiuti in provincia di Torino sia
deteriorato ed insostenibile.
Non è possibile ad oggi esprimere un parere sulle indagini,
che speriamo rapide e esaustive, ma, al di là dei risultati che speriamo
possano dissipare ogni dubbio sulla vicenda, resta il fatto che siamo di fronte
al fallimento sia di una Azienda che di un modo di gestione della cosa
pubblica.
Oggi SETA ha un buco di bilancio attorno ai 30 milioni di
euro, sono state fatte tre gare per la vendita del 49% delle azioni che sono
andate deserte e niente dice che questa strada possa essere risolutiva. Per i
cittadini dei 29 comuni coperti dai servizi si annunciano tempi pesantissimi visto
che il buco di bilancio dovrà essere coperto, e che sono i comuni, sia come
diretti proprietari di SETA, sia come soci del consorzio di bacino 16 che
dovranno assumersi il debito e pagarlo. Altra vittima annunciata di questa
vicenda sono i lavoratori, sia quelli direttamente in carico a SETA (circa 240)
che quelli delle cooperative e delle aziende (circa 120) che svolgono servizi
(specialmente sulle raccolte differenziate) per conto di SETA.
Seta ha i bilanci in rosso da tre anni e sembra che
quest’anno chiuda con un minimo attivo, cosa che potrebbe impedirne il
fallimento, ma che probabilmente è ottenuta con artifici di bilancio, non certo
per un risanamento aziendale.
Ma come si è giunti a questa situazione? Come è stato
possibile che un’azienda sana, che lavora in regime di monopolio, che determina
lei stessa i costi dei servizi, possa giungere ad un simile risultato negativo?
Le cause sono fondamentalmente due, e sono ambedue relative
all’incapacità di chi ha gestito negli anni questa situazione. Seta nasce nel
2001 dalla fusione del CATN, l’ex municipalizzata del comune di Settimo e AISA
il consorzio dei comuni del Chivassese, con una partecipazione esclusivamente
finanziaria da parte di AMIAT. Dopo poco SETA decide per l’internalizzazione
del servizio di riscossione dei tributi per i comuni che passano da TARSU a
TIA, e questo è stato il primo errore. SETA non aveva le capacità sia tecniche
che finanziarie e operative, per gestire la partita. Il ritardo della
bollettazione, un’altissima evasione ed elusione (con punte del 40% ed oltre)
crea uno stop nei flussi di liquidità e costringe l’azienda ad accedere
pesantemente al credito bancario, che, con l’aumento degli interessi, diventa
in breve una voragine autoalimentata. Più SETA ha bisogno di denaro, più questo
gli costa, maggiore diventa il fabbisogno.
L’altro punto che crea il dissesto attuale è che SETA ha,
almeno fino allo scorso anno lavorato sotto costo. L’emersione di questa
situazione si è concretizzata nel momento in cui è stato deciso di porre le
quote in vendita e si è dovuto procedere alla valutazione dell’azienda. Il
valutatore ha fatto quello che aziende delle dimensioni di SETA fanno
normalmente, ovvero ha applicato la contabilità aziendale definendo i centri di
costo dei vari servizi (cosa che prima SETA non faceva) rilevando che in molti
comuni i servizi erano pagati dai committenti meno di quanto costassero
all’azienda. A riprova di questo per lo scorso biennio SETA ha chiesto ai 29
comuni, in quote diverse, circa 3 milioni di Euro come adeguamento dei servizi.
Insomma il risultato di queste improvvide iniziative
commerciali (l’internalizzazione) e l’incapacità di gestire l’azienda in
maniera corretta hanno portato all’attuale disastro. È inoltre evidente che
almeno per quanto riguarda SETA l’ombra
di assunzioni non funzionali alle esigenze di servizio ma ad esigenze politiche
sia ampiamente presente, e che l’equilibrio tra questi aspetti e la controparte
sindacale abbia permesso la pace sociale interna, messa in discussione solo
quando l’azienda non è riuscita a pagare regolarmente gli stipendi, cosa
successa diverse volte nello scorso anno. Questa situazione ha però messo in
seria difficoltà i lavoratori delle cooperative che si sono trovati da un lato
a fare da polmone finanziario a SETA (attualmente i debiti nei confronti delle
cooperative e delle aziende che lavorano per conto di SETA sono attorno ai 7
milioni di euro, che chiaramente comportano per le medesime esposizioni
bancarie pesantissime e che hanno già causato la perdita di almeno una ventina
di posti di lavoro) e non è pensabile che possa garantire seriamente i
lavoratori di SETA. È evidente che l’eventuale socio privato entra per
ristrutturare i servizi, e in questo campo l’unico punto comprimibile è il
costo dovuto ai lavoratori. L’ipotesi è il taglio di 100/130 posti per
l’esecuzione dei servizi.
Da notare che nessuno fino ad oggi ha potuto visionare il
progetto industriale degli eventuali compratori, che resta un mistero.
Insomma un vero macello, dove diventa difficile trovare il
bandolo della matassa, per poter ridare una speranza di futuro che eviti bagni
di sangue.
Noi pensiamo che la responsabilità di tutto questo parta
proprio dal modello utilizzato per la gestione dei servizi, ovvero questa forma
semipubblica che ha posto la gestione dei servizi nelle mani di pochi, con la
copertura delle assemblee dei sindaci, ma che non hanno mai avuto gli strumenti
di controllo e verifica dell’andamento aziendale. Di fatto spesso i sindaci non
sono stati altro che approvatori dei progetti che chi aveva la maggioranza
nell’azienda e nel consorzio di bacino avevano pensato. Pensiamo che la
trasformazione del servizio pubblico in aziende parapubbliche che hanno spesso
ospitato poltronifici e politiche clientelari dimenticandosi del motivo per cui
erano nate, e puntando sulla finanziarizzazione delle aziende sia stato il vero
problema che ha portato a questo disastro. E tutto questo senza nemmeno una
possibilità di controllo esterno da parte di organismi terzi, svincolati da
appartenenza politica.
Da notare che se SETA è probabilmente la punta più esposta
della crisi del settore, anche quasi tutti gli altri consorzi di bacino versano
in acque pesanti, con bilanci quasi tutti in rosso.
E tutto questo nonostante i referendum che due anni fa hanno
ribadito che il servizio pubblico tale deve restare e che oltre che per
l’acqua, anche il settore dei rifiuti deve restare pubblico, almeno nella
volontà dei cittadini.
Che fare quindi?
La prima richiesta che facciamo è che chi ha in capo la gestione
dei rifiuti si faccia carico della propria responsabilità e torni, dopo una
lunga latitanza, a gestire quello che gli spetta. La provincia e la regione non
possono far finta di nulla e devono agire in questa situazione. Non è possibile
che la soluzione di questo problema sia delegata a chi l’ha gestita e con
questi risultati per tutti questi anni.
Chiediamo quindi un commissariamento dell’azienda e del
Consorzio di bacino, mentre contemporaneamente si ridiscuta il modello
organizzativo, prevedendo organi di controllo gestiti direttamente dal basso, slegati
da partiti e lobby, ma che possano permettere una maggiore trasparenza delle
gestioni.
RIFONDAZIONE COMUNISTA - Circoli di Chivasso/Brandizzo - Settimo T.se - Gassino T.se.
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