Che belle le anticipazioni sui giornali di una Torino che si sarebbe
stretta intorno alla famiglia Agnelli per ricordare l'Avvocato a 10 anni
dalla morte. Che balle, tutte queste anticipazioni. Torino, alla
commemorazione, non ha partecipato. La "Torino che conta", quella che ha
distrutto la città e l'ha privata di un futuro, era rinchiusa dentro un
Duomo blindato e protetto da ingenti schieramenti di polizia. Fuori, al
di là delle transenne, doveva sistemarsi il popolo. Di fonte ad un
maxischermo. Sono arrivate poche centinaia di persone. Poco più di
quelle che riuscirebbe ad attirare un comizio di Fini. Ed è tutto dire.
Le folle immense che, 10 anni fa, avevano aspettato ore per rendere
l'ultimo saluto al signore del jet set, non si son viste. Travolte dalla
crisi, hanno capito di essere state prese in giro dai media locali.
Hanno capito che Gianni Agnelli era un bluff, che i suoi successori se
ne fregano della città e dei lavoratori. Hanno capito che le buffonate
di Fassino sulla ripresa di Torino non hanno alcun rapporto con la
realtà. E sono rimasti a casa. A fare i conti con la crisi disastrosa
provocata dal grigiocrate Monti che, guarda la combinazione, è stato nel
consiglio d'amministrazione della Fiat. A fare i conti con le decine di
migliaia di posti di lavoro distrutti dall'Avvocato e dai suo
manutengoli. A fare i conti con la disoccupazione, con la povertà.
Mentre loro, gli oligarchi, fingevano di pregare in Duomo e si
limitavano a passare in rassegna presenze ed assenze. Non c'era
Margherita Agnelli, tanto per chiarire. La figlia dell'Avvocato presa in
giro dai parenti e dalla corte del padre. E perché mai avrebbe dovuto
prender parte alla farsa? Per incontrare i Gabetti ed i Grande Stevens?
Per fingere una cordialità che non può esserci? Ed allora il tout Turin
si chiude in chiesa e lascia fuori quel popolo che, finalmente, comincia
ad esser stufo di far da comparsa alla messe in scena degli oligarchi.
Solo un piccolo passo. Ma significativo. Il prossimo potrebbe essere
meno pacifico.
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