"Moonrise Kingdom –
Una fuga d’amore"
di Wes Anderson.
Wes Anderson è un
regista statunitense poco più che quarantenne con alle spalle già un buon
numero di film di successo, come I
Tenenbaum, o Il treno per il
Darjeeling. Basta guardare una sua foto per farsi una prima idea dei suoi
film: aspetto tenero, da bravo ragazzo un po’ eccentrico, il classico primo
della classe, che però non si dà arie, ma vive in un mondo tutto suo.
Personaggio a metà tra l’artigiano meticoloso e il genio estroso, costruisce
con minuzia i suoi film pezzo per pezzo, un puzzle in cui ogni inquadratura
contiene un mondo intero studiato nei minimi particolari, come dei quadri coloratissimi
e un po’ surreali. Quadri e scenografie che prendono vita grazie alla musica,
che svolge un ruolo fondamentale.
Il suo ultimo film, Moonrise
Kingdom, che ha aperto l’edizione 2012 del Festival di Cannes, è ambientato
su un’isola che non c’è al largo delle coste del New England. Siamo nell’estate
del 1965, tre giorni prima di una catastrofica tempesta che devasterà l’isola,
come ci annuncia una improbabile e imperturbabile guida locale in una delle
prima scene.
La prima scena si svolge in una specie di casa di bambole,
dove i genitori se ne stanno rinchiusi in una stanza ognuno per conto suo,
mentre i tre figli piccoli giocano e si organizzano da soli senza problemi. Per
ultima compare lei, Suzy, una dodicenne tenebrosa, forse anche per via del
trucco un po’ accentuato, e dalle gambe troppo lunghe. Il tutto accompagnato da
una voce fuori campo che spiega come i diversi strumenti che compongono
l’orchestra contribuiscano a formare un insieme armonico e ordinato: si tratta
della composizione didattica di Benjamin Britten, “The Young Person’s Guide to the Orchestra”.
Nella scena successiva ci trasferiamo in un campeggio scout,
dove un capo un po’ pignolo ispeziona il campo al mattino presto subito dopo la
sveglia e scopre che uno dei suoi allievi è fuggito durante la notte. Si tratta
di Sam Shakusky, un orfano per nulla amato dai compagni e rifiutato anche dalla
famiglia adottiva, che troveremo subito dopo equipaggiato di tutto punto, con
un pesante cappello alla Davy Crocket e
una pipa da pioniere, in marcia verso la casa di Suzy, che a sua volta ne
attende l’arrivo scrutando l’orizzonte con un binocolo. I due, infatti, si sono
incontrati l’anno prima ad una recita parrocchiale e hanno organizzato la loro fuga
d’amore per corrispondenza.
La storia del film è tutta qui, nello smarrimento che
l’imprevisto provoca negli adulti un po’ svagati che abitano sull’isola,
costretti a fare i conti con se stessi, con le proprie ipocrisie e le finzioni
di ogni giorno. E nell’ingenuità intrisa di malinconia e solo apparentemente
sprovveduta dei due protagonisti. Suzy, infatti, come nota subito il suo
compagno di viaggio, indossa delle scarpette inadeguate e si è portata dietro
un sacco di cose inutili, come il mangiadischi del fratello con un 45 giri di
Françoise Hardy, una cesta con dentro il gatto che miagola, una borsa di cibo
per gatti e una valigia di libri di avventure fantastiche. Tutti oggetti curiosi, che risulteranno
utilissimi nello sviluppo della loro vicenda.
E alla fine, come per gli strumenti dell’orchestra, tutti
quanti, grandi e piccoli, troveranno il loro posto e daranno il loro
contributo, fino al gran finale, scandito dallo scatenarsi degli elementi nella
più terribile tempesta mai vista prima.
Consolatorio? Per niente, siamo nel mondo delle fiabe, non
sulla terra.
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