Secondo il bilancio sociale dell'Inps, 11,5 milioni di pensionati percepiscono un
reddito medio di 10.000 euro lordi annui, pari a 700 euro al mese. Con
buona pace di quelli che ci raccontano del conflitto generazionale,
sarebbe forse allora il caso di tornare a parlare di classico contrasto
fra ricchi e poveri.
L’Inps ha
presentato giovedì a Roma il suo bilancio sociale 2012. Un rapporto
ricco e aggiornato, di un ente che, dopo l’assorbimento dell’Inpdap,
gestisce ormai la quasi totalità delle prestazioni pensionistiche
(previdenziali e assistenziali) e degli ammortizzatori sociali, oltre ad
amministrare le principali banche dati nazionali in materia. Nel 2012,
in un paese con un Pil di 1500 miliardi, l’Inps
ha pagato prestazioni per quasi 300 miliardi, di cui 261 miliardi di
pensioni (237 miliardi di natura previdenziale e 41 miliardi di natura
assistenziale), 13 miliardi di ammortizzatori sociali e 10 miliardi di
assegni familiari. Nello stesso periodo, ha raccolto 208 miliardi di
contributi sociali e ricevuto trasferimenti dallo stato per 94 miliardi.
Fra i
possibili spunti che emergono dalla lettura del rapporto, proviamo a
fare qualche ragionamento focalizzandoci sul valore delle prestazioni
pensionistiche erogate. Le pensioni previdenziali (vecchiaia, invalidità
e superstiti) in essere offrono in media 1.029 euro lordi al mese, con
una forte differenza di genere: 1.365 euro per i maschi, 822 euro per le
femmine. Le prestazioni assistenziali (assegni sociali, pensioni di
invalidità civile, indennità di accompagnamento) valgono in media poco
più di 400 euro lordi al mese. Fra i peggio messi nel comparto
previdenziale sono i lavoratori parasubordinati, che, anche escludendo
quelli che hanno un’altra pensione da lavoro, arrivano a percepire un
beneficio di appena 308 euro al mese, mentre nel comparto assistenziale
spiccano gli invalidi civili, con una pensione di appena 273 euro al
mese. Se ragioniamo in
termini di pensionati, anziché di pensioni (lo stesso individuo può
percepire più di una pensione) scopriamo che, su 16,8 milioni di
pensionati, 11,5 milioni sono nel gruppo dei più poveri, con un reddito
pensionistico medio di 10.000 euro lordi annui (netti, 700 euro
mensili), mentre altri 3,8 milioni sono nel secondo gruppo, con un
reddito medio annuo lordo di 23.800 euro, ovvero una pensione netta
mensile di 1.500 euro. Sono dati che non mostrano certo una generalità
di pensionati ricchi e benestanti, anzi, con tali valori moltissimi
pensionati finiscono sotto la soglia della povertà.
Con buona
pace di quelli che ci raccontano del conflitto generazionale, sarebbe
forse allora il caso di tornare a parlare – in termini, bisogna
ammetterlo, meno glamour – di classico contrasto fra ricchi e poveri,
piuttosto che fra giovani e vecchi. In effetti, esistono 166.000
pensionati con pensioni medie fra 10 e 17 volte il minimo e 20.000 con
un reddito pensionistico superiore a 17 volte il minimo, senza contare,
per mancanza di dati, le pensioni erogate da Parlamento, Presidenza
della Repubblica e altri organi costituzionali. Ma, se il problema è di
tipo distributivo (ricchi e poveri) e non generazionale (giovani e
vecchi), allora la giusta sede per intervenire sarebbe non il
disconoscimento delle passate regole pensionistiche – peraltro di dubbia
costituzionalità –, quanto
l’adeguamento delle aliquote Irpef sugli scaglioni di reddito più
adeguati (1). Se il valore medio delle prestazioni pensionistiche
erogate è basso, deve destare preoccupazione anche il fatto che,
contrariamente a quanto era solito, le nuove pensioni liquidate nel 2012
hanno valori medi bassi e in calo, sia pur leggero, rispetto all’anno
precedente (1.133 euro lorde al mese, escludendo le pensioni
assistenziali), malgrado corrispondano a periodi contributivi molto
lunghi (almeno 39 anni le pensioni di anzianità, fra i 27 e i 37 anni le
pensioni di vecchiaia). E’ probabilmente l’avvisaglia di un calo che
diventerà via via più forte di anno in anno; sia perché ancora per molti
anni le pensioni liquidate ai parasubordinati saranno estremamente
contenute (perché associate a bassi contributi e anzianità
contributive), sia perché iniziano ad andare in pensione sempre più
lavoratori che nel 1995 avevano meno di 18 anni di contributi, e che
perciò si ritrovano, a differenza di quelli andati in pensione finora,
già con più di metà della loro pensione calcolata con il sistema
contributivo. Certo, gli ulteriori aumenti dell’età di pensionamento e
degli anni di contribuzione necessari per accedere al pensionamento
previsti per i prossimi anni dalla riforma pensionistica del 2011
dovrebbero servire anche contrastare la riduzione delle prestazioni.
D’altro canto, i dati contenuti nella
parte del rapporto Inps sugli ammortizzatori sociali suggeriscono
l’intempestività della stretta sui pensionamenti e alimentano
scetticismo sul futuro: sono 4,4 milioni i lavoratori che hanno
beneficiato di ammortizzatori sociali nel 2012 (contro i 3,8 del 2011),
con 2,5 milioni di trattamenti di disoccupazione e 1,6 milioni di
trattamenti di Cig. Solo questi ultimi hanno comportato nel 2012 un
miliardo di ore di lavoro in meno. È evidente che, se nei prossimi anni
il mercato del lavoro non sarà in grado di accogliere tanto i giovani
quanto l’aumento dell’offerta di lavoro degli anziani, ovvero se la
crisi economica si prolungherà, tanto i conti del sistema pensionistico
quanto il livello dei benefici sono destinati a diventare sempre più
problematici.
Per
chiudere, vale la pena di segnalare un’omissione. È opportuno che la
tematica degli stranieri che vivono e lavorano in Italia sia considerata
nel rapporto solo per indicare la nazione di provenienza
dei lavoratori domestici? Eppure i 5 milioni di stranieri residenti in
Italia, ormai il 7% della popolazione complessiva, costituiscono una
componente importante, oltre che dell’economia nazionale, anche del
sistema di welfare, con un apporto netto largamente positivo (cfr. in
proposito il recente rapporto
di Lunaria). L’Inps è l’ente che più di ogni altro si interfaccia con i
lavoratori stranieri e dispone di dati dettagliatissimi, che purtroppo
utilizza solo in minima parte, producendo un rapporto peraltro piuttosto
difficile da trovare sul suo stesso sito. Non sarebbe lecito aspettarsi
che un bilancio che vuole essere sociale integri al suo interno anche
qualche informazione su tale dimensione? (1) Con qualche specifica
eccezione legata soprattutto ai trattamenti particolarmente privilegiati
dei quali godono, o hanno goduto fino a tempi recentissimi, i
dipendenti degli organi costituzionali e alcuni funzionari dello stato o
di alcuni enti locali, oltre che alle specifiche modalità con le quali
si è intervenuti in salvataggio di alcuni fondi dissestati (ad esempio
l’INPDAI), oggettivamente eccessivamente onerose per il sistema
pubblico. Su tali situazioni sarebbero auspicabili interventi ad hoc.
Angelo Marano, sbilanciamoci.info
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