... Intervento polemico nei confronti di tutti
i giornalisti che si indignano parlando di censure possibili o minacciate dagli
organi del potere, ma non si tirano indietro dal censurare loro le notizie,
quando non piacciono (e, guarda caso, non piacciono di solito quando sono
contrarie al potere costituito).
Al NO MomtiDay della settimana scorsa c'erano in piazza a Roma decine di migliaia di persone (forse non le 150.000 di
Cremaschi, ma comunque tantissime), e come hanno reagito gli organi di
informazione? tralasciando il fatto che i quotidiani del gruppo Espresso non
sono usciti per lo sciopero, ed il Fatto quotidiano che ha fatto un servizio
decente, navigando qua e là sui notiziari in rete e spulciando qualche
quotidiano, posso dire questo.
La
notizia relegata in trafiletti nelle pagine interne, grande risalto alla
possibile "pericolosità" dei manifestanti (erano attesi, diceva La7, "centri
sociali" e "movimento Notav", brutti cattivi e pericolosi, ma che la
manifestazione fosse indetta da sindacati, sia pure di base, nulla) e poi alle
uova lanciate contro i muri, le scritte un (dicasi uno di numero) cassonetto
bruciato, uno spezzone che ha proseguito dopo la fine del corteo innescando un
tentativo di scontri (che non sembra siano avvenuti). Il Gazzettino di Venezia
ha citato, unico tra centinaia di messaggi, il cartello di un toscano che diceva
"Monti illuminaci, datte foo" (naturalmente tradotto in "datti fuoco".
Delle
decine di migliaia di altri contenuti, nulla.
Non
una parola sugli striscioni delle federazioni USB di tutta Italia, a partire da
quello dell'Ilva di Taranto che recitava "vogliamo morire di salute", sulle
parole d'ordine per i diritti dei lavoratori, degli studenti, dei cittadini, per
la difesa dell'ambiente, per una vita migliore, tanto per dirla in due parole,
una vita migliore alla quale possiamo pretendere anche di avere diritto in
questi tempi di progresso, in cui, stando a quanto dicono i nostri governanti,
viviamo.
Peccato
che secondo loro il progresso si misura in colate di cemento e non in assistenza
sanitaria, gli investimenti non nella cultura ma nell'edilizia selvaggia, nei
rigassificatori e non nel risparmio energetico, e pazienza se in questo progetto
di progresso chi ci sguazzerà sicuramente (come sguazza da decenni) sarà ancora
una volta la criminalità organizzata, nelle spese militari e non nell'assistenza
sociale e nella creazione di posti di lavoro eco e socio compatibili.
Perciò
chi parla contro va criminalizzato, e se non riescono le infiltrazioni e le
provocazioni e si arriva a centomila persone che sfilano ordinatamente nella
capitale, allora bisogna zittire, censurare, minimizzare, non parlare.
Che
il regime (sì, regime, perché questo governo non è stato deciso da libere
elezioni) si comporti in questo modo, non mi fa particolare specie, è il suo
compito istituzionale censurare l'opposizione.
Che
gli organi di stampa si appiattiscano a tal punto ad un regime che taglia anche
i finanziamenti a loro, è cosa che invece può ancora indignarmi, non solo come
cittadina e militante, ma anche come appartenente alla categoria giornalistica,
alla quale ho scelto di appartenere più di trent'anni fa, appena finito il
liceo, perché ritenevo necessario produrre informazione e non propaganda,
permettere alla gente di conoscere i fatti andando oltre le censure del potere,
perché solo in tale modo si poteva creare un'opinione pubblica in grado di
decidere a chi affidare il governo del Paese.
L'utopismo
di chi era cresciuto negli anni 70 con il modello del giornalismo d'inchiesta
USA (ricordate il Watergate?), ed anche italiano, basti pensare ai "pistaroli"
come Nozza, ed a coloro che diedero corpo alla controinchiesta sulla "Strage di
stato".
Una
cultura che si è persa, oggi l'informazione (quella vera, non la propaganda) si
ha solo grazie al volontariato di chi vive gli avvenimenti e ne parla sulla
rete, ma purtroppo raggiunge poco più che non gli addetti ai lavori.
Così
non possiamo stupirci se abbiamo la classe politica che abbiamo, se la maggior
parte della popolazione accetta supinamente quello che la classe politica gli
impone, perché tanto non c'è alternativa.
Chiusura
dubbiosa: una bella manifestazione, tanta gente, tanti messaggi, mi sono trovata
bene e sono sempre ottimista, ma rimane il problema del che fare, e soprattutto
come farlo, perché alla fine eravamo in tanti, ma pochi rispetto al totale della
popolazione attiva, perché i sindacati che contano non sono quelli che erano in
piazza, ed i lavoratori seguono i sindacati che contano, non le avanguardie,
anche se magari sarebbero d'accordo con loro, stesso discorso per i partiti,
ammirevole il fatto che Comunisti italiani e Federazione della sinistra siano
stati presenti nonostante la dissociazione dell'ultimo momento del Pdci che ha
coinvolto la Federazione in toto, ma rimane il problema di cosa sarà della
Federazione nel prossimo futuro elettorale.
Rilevo
la completa assenza dei "grillini", per valutare il loro ruolo rispetto alla
politica del governo in carica. Movimento vintage, ci ha definiti la Repubblica:
peccato che il vintage si riferisca al periodo migliore dell'Italia, quello
delle conquiste sociali e dei diritti, quelli che il "moderno" governo Monti ha
ormai completamente cancellato, in nome di un "rigore" che colpisce solo le
fasce più deboli.
Claudia
Cernigoi, che come nome di battaglia da oggi si chiamerà
Vintage.
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