E sono quattro. Oramai nel Chivassese sembra di essere in un giallo di Camilleri, dove le “sparatine” si
susseguono regolarmente, quasi quotidianamente, tanto da diventare un
sottofondo abituale del panorama, come elementi “normali” di un territorio, di
un clima sociale, di una collettività.
Ma non siamo nella profondità di
zone storicamente pervase dal fenomeno della criminalità organizzata, almeno in
questo modo in molti hanno cercato di descriverci dopo le indagini Minotauro.
Purtroppo per loro, i fatti li
smentiscono. Queste “sparatine” dimostrano chiaramente che Minotauro ha si
colpito anche duramente alcuni esponenti della Ndrangheta, ma che le cosche
hanno una enorme capacità di ripresa e non è con la via giudiziaria che si
possono estinguere o almeno tenere sotto controllo.
Dobbiamo renderci conto che
oramai la criminalità organizzata è presente in maniera strutturata nel Nord
Italia e che il Chivassese non è immune da queste presenze. Non è quindi un
cancro, una presenza che arriva da fuori, ma una realtà presente e consolidata
nella nostra struttura sociale, economica e culturale.
Diversi i segnali che, nel tempo,
si sono succeduti e che avrebbero dovuto far capire che cosa stava succedendo. A partire dalla costruzione
della linea ad alta capacità tra Torino e Milano, in cui il movimento terra è stato
tutto gestito dalle mafie, si è avuta l’esplosione dell’edilizia, La
proliferazione di sale giochi e di sportelli bancari, la nascita di negozi di
acquisto oro.
Da sempre questi elementi, da
soli e in compresenza, vengono considerati come precisi segnali di presenza
della criminalità organizzata, perché, a fianco di imprenditori onesti è
strutturale la presenza di capitali mafiosi, come diverse commissioni
parlamentari hanno ampiamente dimostrato.
Ma questa in Piemonte non è mai
stato oggetto di riflessione da pare della classe politica, sempre allineata
dietro alla fenomenologia sabauda, nella quale gli amministratori sono tutti
onesti e la presenza di qualche mela marcia è un fatto marginale e secondario.
Le “sparatine” di questi giorni
dimostrano come invece il tessuto della nostra comunità sia invece pervaso da
questi fenomeni e quanto sia necessario che si trovino metodi e sistemi
strutturali per combatterli. Sia sul piano delle buone pratiche che della
cultura.
Diventa quindi necessario che ci
si doti di protocolli chiari e precisi per la gestione della cosa pubblica. In
questi giorni il settore della gestione dei rifiuti è uno dei problemi più
grossi del nostro territorio.
La vicenda di SETA è da mesi
presente sui quotidiani, con tutte le problematiche relative alla raccolta dei
rifiuti, ad un buco di bilancio enorme e all’incertezza di posti di lavoro. Ora
sappiamo che SETA sta cercando di vendere il 49% delle proprie azioni ad un
socio privato, che porti liquidità nelle sue esangui casse. Già due gare sono
andate deserte, evidentemente per la gravità della situazione economica.
Ora la domanda che si pone è
quali strumenti sono stati attivati per garantire che il compratore sia qualcuno
onesto e al di fuori da connivenze con la criminalità organizzata.
A Milano, in occasione dell’Expo
2015 è stato adottato un protocollo molto rigido, che prevede la risoluzione
dei contratti con le aziende in appalto anche in caso di indagini in corso.
E da noi? Non è possibile che una
situazione di estrema gravità e di bisogno diventi una porta per far ampliare
la presenza di soggetti che su questi temi non siano più che limpidi. Come
Rifondazione Comunista chiediamo quindi che nel bando di gara sia presente una
chiara e specifica voce relativa alla possibilità, da parte del Pubblico, di
annullare l’assegnazione in caso di apertura di provvedimenti giudiziari per
fatti di criminalità organizzata a carico dei partecipanti al bando, e che la
presenza di questi annulli l’eventuale partecipazione alla gara medesima.
E’ evidente che oramai si devono
fare dei fatti, che il tempo delle dichiarazioni è finito, ucciso da queste
“sparatine “ quasi quotidiane.
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