La 
riforma Fornero del lavoro, la disaffezione dalla politica, le politiche 
economiche di destra non eque e senza opposizione, hanno tutti una medesima 
radice comune: l’errore neoliberista. 
In questi giorni una serie di grandi  
mobilitazioni del mondo del lavoro sta attraversando il Paese. Fiom, 
Sindacati Confederali, Sindacati autonomi e di base, fino al variegato mondo del 
lavoro precario scendono in piazza per manifestare le preoccupazioni per una 
crisi senza fine e l’insofferenza verso le politiche economiche dell’Unione 
europea e del governo Monti.
 L’ideologia 
neoliberista che permea anche questo governo mira infatti ad un rilancio 
economico dal lato dell’offerta (flessibilità del mercato, stimolo alla 
competitività, risanamento delle finanze pubbliche), esigendo un 
mercato del lavoro fortemente deregolamentato con 
ulteriore peggioramento delle condizioni dell’occupazione, del lavoro e delle 
retribuzioni, innescando una suicida spirale deflattiva. La ripresa invece 
dovrebbe avvenire non dal lato dell’offerta bensì della domanda, quella 
delle famiglie e delle pubbliche amministrazioni, sostenuta grazie 
all’impegno pubblico, perchè così si 
e' fatto nel mondo 
durante 
le altre grandi crisi, a 
cominciare dalla Grande Depressione fra le 2 guerre, nel 1934, dopo la crisi del 
1929, quando per es. in Italia si decise di porre 
fine alle politiche di contenimento dei costi che avevano portato a risultati 
disastrosi e si promosse  una politica 
espansiva di reflazione, cosicché il Pil riprese una crescita duratura e 
sostenuta. La medesima cosa avvenne anche in America, con il successo del New 
deal roosveltiano, e con analoghe misure accadde anche in altri Paesi. Lo stesso 
piano Marshall, nel dopoguerra (1947), legò riduzione dei debiti e rimborsi dei 
prestiti alla crescita ritrovata. Questo perché, quando si attraversano momenti 
difficili, è sbagliato contrarre la spesa dello Stato e si dovrebbe invece 
aumentarla: il deficit di bilancio non si espanderà necessariamente se al tempo 
stesso si introducono per es. la tassazione sulle transazioni finanziarie, sulle 
grandi rendite e patrimoni. E comunque l'innalzamento 
del deficit in 
valore 
assoluto verrebbe compensato dall'ampliamento del 
PIL 
Solo dopo che, grazie al sostegno pubblico, la domanda privata sarà ripartita, 
si potrà pensare a risanare le finanze pubbliche.
L’ideologia 
neoliberista che permea anche questo governo mira infatti ad un rilancio 
economico dal lato dell’offerta (flessibilità del mercato, stimolo alla 
competitività, risanamento delle finanze pubbliche), esigendo un 
mercato del lavoro fortemente deregolamentato con 
ulteriore peggioramento delle condizioni dell’occupazione, del lavoro e delle 
retribuzioni, innescando una suicida spirale deflattiva. La ripresa invece 
dovrebbe avvenire non dal lato dell’offerta bensì della domanda, quella 
delle famiglie e delle pubbliche amministrazioni, sostenuta grazie 
all’impegno pubblico, perchè così si 
e' fatto nel mondo 
durante 
le altre grandi crisi, a 
cominciare dalla Grande Depressione fra le 2 guerre, nel 1934, dopo la crisi del 
1929, quando per es. in Italia si decise di porre 
fine alle politiche di contenimento dei costi che avevano portato a risultati 
disastrosi e si promosse  una politica 
espansiva di reflazione, cosicché il Pil riprese una crescita duratura e 
sostenuta. La medesima cosa avvenne anche in America, con il successo del New 
deal roosveltiano, e con analoghe misure accadde anche in altri Paesi. Lo stesso 
piano Marshall, nel dopoguerra (1947), legò riduzione dei debiti e rimborsi dei 
prestiti alla crescita ritrovata. Questo perché, quando si attraversano momenti 
difficili, è sbagliato contrarre la spesa dello Stato e si dovrebbe invece 
aumentarla: il deficit di bilancio non si espanderà necessariamente se al tempo 
stesso si introducono per es. la tassazione sulle transazioni finanziarie, sulle 
grandi rendite e patrimoni. E comunque l'innalzamento 
del deficit in 
valore 
assoluto verrebbe compensato dall'ampliamento del 
PIL 
Solo dopo che, grazie al sostegno pubblico, la domanda privata sarà ripartita, 
si potrà pensare a risanare le finanze pubbliche.
1) LA “RIFORMA” FORNERO DEL LAVORO IN 
SINTESI
Da 
un Parlamento di nominati, condannati, indagati per reati gravi - con i 
rispettivi avvocati -, di rinviati a giudizio, di inquisiti, 
di 
inseguiti da ordini d'arresto, 
non ci si poteva aspettare di meglio che a pagare fossero i lavoratori onesti e 
i poveri cristi. Fra poche settimane verrà infatti approvato definitivamente il 
Ddl Fornero, un 
provvedimento di legge che non 
crea posti di lavoro ma anzi li toglie dando la 
possibilità di licenziare senza giusta causa; 
non interviene sufficientemente nel contrasto alla precarietà, riduce le tutele 
economiche e temporali per chi si ritrova disoccupato, non serve allo sviluppo 
né agli investimenti.
a) 
MODIFICHE ALL’ARTICOLO 18 
DELL STATUTO DEI LAVORATORI
Il 
significato dell’art. 18 consisteva nel diritto della lavoratrice e del 
lavoratore di essere reintegrati nel posto di lavoro da 
parte del Giudice quando veniva accertata l’illegittimità del licenziamento 
ordinato dal datore di lavoro. Ora invece sparisce 
il reintegro automatico in caso di licenziamento individuale illegittimo per 
motivi economici. 
È una 
barbarie giuridica, che 
provocherà, secondo 
i dati diffusi dalla CGIA di Mestre - il 
Centro studi della Confederazione generale degli artigiani veneti- la 
perdita 
di 600.000 posti di lavoro nei primi 10 mesi di applicazione della legge. 
Diventeremo così tutti  precari, e 
si 
potrà mascherare con ragioni economiche un licenziamento per cacciare, al prezzo 
di qualche mensilità, chi si batte per la difesa della salute, per le misure di 
sicurezza o contro le violazioni ai diritti più elementari.
NON 
CI SONO GIUSTIFICAZIONI ALLA MODIFICA DELL’ART. 18:
- 
Non 
si sentiva la necessità di porre mano all’art. 18 dato che il 
nostro ordinamento prevede già espressamente la possibilità di licenziare per 
motivi economici fino a 5 dipendenti (legge 604 del 1966), o oltre i 5 
dipendenti (legge 223/91). 
Inoltre la stragrande maggioranza 
dei nuovi assunti ha un contratto a termine, ed è quindi licenziabile appena 
questo scade; e infine le imprese 
con meno di 16 dipendenti, che sono il 95% delle aziende in Italia, possono 
liberamente licenziare senza altro onere che quello di pagare un'indennità di 
preavviso.
- Non 
è assolutamente vero che l’art.18 riguardi pochi lavoratori. Secondo la CGIA di 
Mestre, nelle 
aziende interessate dall’art. 18 lavora circa il 65,5% dei lavoratori 
dipendenti, cioè circa 7.790.429 lavoratori.  
- Le 
ricerche effettuate dall’Ocse e perfino dal Fondo monetario internazionale 
(Olivier Blanchard) ci dicono da anni che la riduzione delle tutele NON accresce 
l’occupazione e non riduce la disoccupazione. 
Una 
conclusione ribadita anche dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz nel 
recente incontro con Monti. L’occupazione 
infatti non dipende dalla maggiore o minore rigidità del cosiddetto mercato del 
lavoro (lo dimostra il fatto che Nord e Sud Italia condividono la stessa 
legislazione in materia, ma hanno tassi di disoccupazione assai differenti), 
bensì dal livello e dalla composizione della domanda aggregata di beni e di 
servizi.
- La 
modifica dell’articolo 18 non serve neppure a richiamare capitale dall’estero, 
come sostiene Monti, perchè ben altri sono i motivi per cui gli investitori 
stranieri non vengono in Italia, ovvero: i diffusi fenomeni di corruzione su 
ogni passaggio dei processi autorizzativi per le nuove imprese, l’arretratezza 
di infrastrutture, la 
piaga della criminalità organizzata, il 
nostro sistema giudiziario lento, il ritardo dello Stato nel pagamento 
delle  forniture, l’elevato costo 
energetico, 
i tempi biblici prima di poter avviare un’attività a causa di problemi 
burocratici; la 
mancanza di domanda di beni e servizi; 
lo scarso accesso al credito bancario per le imprese, il 
sistema fiscale esagerato 
che 
andrebbe diminuito 
come fece a 
suo 
tempo Prodi col cuneo fiscale, facendo costare meno il lavoro a tempo 
indeterminato e di più il lavoro precario.
- 
Un eccesso di offerta di manodopera dovuta a maggiori licenziamenti determinati 
dall’art. 18, provocherà come conseguenza un abbassamento dei salari per tutti, 
a causa della legge economica della domanda e dell’offerta. Diminuendo gli 
stipendi, la 
domanda di beni e servizi diminuirà, e quindi ne risentirà anche  la produzione e l’occupazione e si avrà un 
generale aumento della recessione e della caduta del PIL e di conseguenza una 
riduzione delle entrate fiscali per lo Stato (le 
entrate tributarie dei primi 4 mesi del 2012 sono inferiori di 3,477 miliardi di 
euro rispetto alle previsioni annuali contenute nel Def) e 
perciò ci sarà un aumento del debito pubblico, per ridurre il quale si taglierà 
la spesa pubblica, il che farà diminuire ancor più la domanda di merci, 
riproducendo il ciclo suicida attualmente in corso in Grecia, Portogallo, 
Irlanda, ed ora in Spagna. 
Se 
il licenziamento e' 
illegittimo 
la sanzione deve essere il reintegro, e non ci possono essere 
sanzioni 
differenti: 
a uguale reato uguale sanzione, perché questo prevedono la 
Costituzione e la stessa Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, che 
esige (art. 30 Carta di Nizza) la tutela dei lavoratori contro ogni 
licenziamento ingiustificato. Al di fuori della giusta causa o del giustificato 
motivo, il licenziamento è nullo: lo prevede il Codice civile, la legge n. 604 
del 15 luglio 1966 ma anche il diritto internazionale (Convenzione OIL n. 
158/82). Il 
lavoro non è una concessione dell’imprenditore, ma il fondamento della 
Repubblica Italiana, che non può essere semplicemente lasciato all’onestà del 
datore di lavoro. 
Monti e Fonero 
non hanno voluto puntare sulla valorizzazione del lavoro proseguendo e 
peggiorando una tendenza sbagliata che fa leva sulla riduzione dei 
costi fondata su licenziamenti facili e lavoro “usa e getta”, anziché 
puntare su 
ricerca, educazione, formazione, innovazione tecnologica e di 
prodotto.
Ma “Guai a quelli che promulgano decreti iniqui e nel redigere, mettono per iscritto l’oppressione” (Isaia 10:1): la Fornero si ricordi sempre di essere a capo del Ministero del Lavoro e non dei licenziamenti, e che esasperando ulteriormente la situazione occupazionale alla fine rischierà lei di essere licenziata dalla mobilitazione democratica del Paese.
b) IL LAVORO PRECARIO.
Il 
lavoro precario 
ormai riguarda circa 7 
milioni di persone in Italia (dati Isfol), rappresentando 
una vera e propria emergenza nazionale, una 
realtà contrattuale infernale senza tutele e diritti. Ma nonostante ciò, la 
riduzione 
drastica delle 46 modalità contrattuali “atipiche” esistenti, assicurata 
inizialmente dal Ministro Fornero, è stata poi incredibilmente 
accantonata.
La 
logica della riduzione dei costi che accompagna il provvedimento non dà alcuna 
garanzia alla stabilizzazione dei giovani nel mercato del lavoro e 
all’allargamento dell’occupazione femminile. Il testo approvato al Senato presenta 
pochi aspetti positivi e nuovi 
pericolosi arretramenti rispetto al documento uscito dagli incontri coi 
sindacati, in cui il 
governo era intervenuto 
solo su alcune specifiche tipologie contrattuali sia applicando nuove pratiche 
amministrative disincentivanti - anche se per molti aspetti carenti - , sia 
stabilendo nuovi oneri contributivi, che però rischiano di andare a detrimento 
anziché a vantaggio dei lavoratori temporanei. 
c) 
RIDUZIONE DELL’INDENNITÀ ECONOMICA E DEL PERIODO DI COPERTURA PER CHI PERDE IL 
LAVORO.
Sugli 
ammortizzatori sociali il testo arrivato alla Camera non risulta migliorato 
nella sostanza. Qui si tocca con forza il tema della scarsità delle risorse 
pubbliche impegnate per la “riforma”, che è sostanzialmente 
un’operazione di tagli che non prevede neppure l'indennità di disoccupazione per 
tutte quelle figure che oggi non ne hanno diritto. Con la riduzione 
della possibilità di ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni 
Straordinaria 
e con la cancellazione della mobilità, chi 
perde il lavoro avrà degli 
ammortizzatori sociali che dureranno 
meno 
nel tempo (si passa da 4 anni ad 1 anno!) e con un’indennità economica 
inferiore. Ciò è tanto più grave in quanto avviene a fronte di un significativo 
allontanamento dell’età pensionabile, e avrà come conseguenza che centinaia 
di migliaia di lavoratori resteranno senza pensione e mobilità per lo 
spostamento dell’età di accesso alla pensione. 
Saranno 
esclusi dall’indennità di disoccupazione quelli 
che non abbiano due anni di anzianità assicurativa e versato almeno 52 settimane 
di contributi, cioè le 
giovani 
generazioni 
del lavoro discontinuo e  i giovani disoccupati che non trovano il primo 
lavoro. Non 
è previsto nella “riforma” alcun reddito 
minimo garantito, 
e 
neppure alcuna tutela per co.co.pro., collaboratori occasionali, a chiamata, 
assegnisti di ricerca e  tutte le finte 
partite IVA. 
Il disegno di legge Fornero è sbagliato e va bocciato. Con un Paese in 
ginocchio la ricetta che i nostri furbi tecnici hanno saputo trovare è stata di 
strumentalizzare i giovani per ridurre ulteriormente i diritti di tutti. 
MA ASPETTI IL MINISTRO FORNERO AD ESULTARE COME HA FATTO IN SENATO, 
PERCHÉ  LA LOTTA SARÀ ANCORA LUNGA E 
PROSEGUIRÀ ANCHE DOPO IL VOTO PARLAMENTARE, UTILIZZANDO UN CONTENZIOSO LEGALE 
SENZA FINE, CHE COMPRENDERÀ ANCHE IL RICORSO ALLA CONSULTA E AL REFERENDUM, PER 
CANCELLARE QUESTA IGNOBILE CONTRORIFORMA.
2) 
LA DISAFFEEZIONE DALLA POLITICA CAUSATA DALL’IMPOPOLARITÀ DELLE MISURE 
ECONOMICHE NEOLIBERISTE
In Italia lo scollamento tra società civile e società politica è molto 
avanzato, come dimostrano le recenti elezioni comunali: si accentua la tendenza 
alla non partecipazione al voto, c’è il successo di un partito nuovo, il 
Movimento 5 stelle, e si assiste al forte aumento del peso delle liste civiche. 
Le cause della disaffezione dalla politica sono l’impopolarità delle misure 
economiche, i processi di ristrutturazione produttiva e di deregolamentazione 
del mercato del lavoro, il calo dei salari reali, l’aumento di disoccupazione e 
sottoccupazione e i tagli al welfare state.  
È una tendenza presente anche in molti altri paesi in Europa, che 
prescinde dal colore politico dei governi, e trova causa nel fatto che quei 
governi  sono tutti artefici delle 
politiche neoliberiste di austerità di bilancio.  Parliamo della sconfitta della cancelliera 
tedesca Angela Merkel ad Amburgo, a Brema, in Sassonia-Anhalt, in 
Renania-Palatinato e Baden-Wurtemberg, nello Schleswig-Holstein nel 
Macklemburgo-Pomerania occidentale, a Berlino e in Nord Renania-Westfalia. O 
dell’allontanamento dal governo di Brian Cowen (Fianna Fail) in Irlanda, di 
Socrates (PS) in Portogallo, di Papandreu (PASOK) in Grecia, di Zapatero (PSOE) 
in Spagna, di Iveta Radicova (Partito Democratico-Unione democratica e 
cristiana) in Slovacchia, di Mark Rutte (Partito popolare per la libertà) nei 
Paesi Bassi. 
La 
politica e' insopportabile ai popoli perchè si e' inginocchiata davanti ai 
poteri forti delle grandi lobby, perchè non si può più mettere in discussione un 
mondo in cui la dignità della persona che lavora vale meno di qualche 
percentuale di profitto. 
3) 
IN ITALIA POLITICHE ECONOMICHE DI DESTRA NON EQUE E SENZA 
OPPOSIZIONE
I 
partiti del Parlamento italiano, tranne qualche eccezione (Italia Dei Valori), 
hanno confermato in blocco il sostegno alle politiche di austerità del governo 
Monti, con l’approvazione di una serie di imposte 
indirette non eque che si applicano a tutti con una medesima percentuale e 
quindi gravano maggiormente sul reddito più basso anzichè sul reddito più alto. 
Ne è un esempio l’Imu, 
che è 
una tassa non progressiva né equa perché applica la stessa aliquota a patrimoni 
di diverso valore; oppure l’aumento 
approvato a dicembre dal Governo Monti-Bersani-Berlusconi-Casini dell’aliquota 
di base dell’Irpef 
regionale, 
che grava sui più poveri; o anche l’aumento delle 
accise sui carburanti, deciso anch’esso nella manovra di dicembre. 
I 
vertici del Partito democratico hanno votato tutto ciò giustificandolo col 
“senso di responsabilità”. Ma se proprio si fosse voluto agire 
per 
senso di responsabilità verso i cittadini non si sarebbe dovuto dare sostegno a 
riforme che sviliscono 
la 
Costituzione, a misure economiche che fanno pagare la crisi a 
esodati, 
dipendenti, 
disoccupati e pensionati. 
Nella 
peggiore tradizione inciucista, i vertici del Partito democratico si 
sono schierati  in 
linea con il Pdl anche sul pareggio 
di bilancio in Costituzione, 
sulla vergognosa spartizione lottizzatoria dell’Agcom (l'Autorità garante delle 
comunicazioni) e del Garante della Privacy; e pure sul finto decreto 
anti-corruzione dove tolgono il reato di concussione per induzione (il reato 
grazie a cui Mani Pulite fu in grado di agire!), non ripristinano il reato di 
falso in bilancio, restano 
gli arbitrati (la fonte di maggior inquinamento durante la verifica degli 
appalti), 
riducono le pene e accorciano i tempi per la  prescrizione, 
mandando in malora tanti processi (tra cui probabilmente il Penati-Area Falck e 
Ruby). Il voto sulla “riforma” del lavoro e l’articolo 18 ha dimostrato che il 
vertice del Partito democratico fuori dai palazzi sostiene ipocritamente di 
voler difendere 
i 
lavoratori, ma dentro vota la fiducia a chi toglie loro i 
diritti. 
Se il PD continuerà in questo modo le alleanze elettorali finirà per farle 
solo con quelli che, come l’UDC, invocano da anni a gran voce “misure 
antipopolari”. 
Sulle 
alleanze per le prossime elezioni politiche, Sor Tentenna Bersani ricorda quella 
poesia di Giusti: 
"Là là per la reggia dal vento portato, tentenna, galleggia, e mai dello Stato 
non pesca nel fondo: che scienza di mondo! Che Re di cervello, è un Re 
Travicello!"
Anche 
il brutale intervento sulle pensioni, 
avvenuto 
senza 
neppure un confronto sindacale, 
è stato consentito grazie al voto dei parlamentari del PD, nonostante 
il 
sistema pensionistico italiano fosse certificato dall’Unione europea in 
equilibrio fino al 2050 ed avesse un 
saldo tra le entrate contributive e le prestazioni previdenziali al netto delle 
ritenute fiscali (cioè quanto effettivamente esce dal bilancio pubblico e entra 
nelle tasche dei pensionati) POSITIVO fin dal 1998 (nel 2009 ad es. il saldo è 
stato positivo per 27,6 miliardi di euro, pari all’1,8% del Pil), il 
che significa che il 
sistema pensionistico pubblico finanzia per decine di miliardi di euro il 
bilancio dello Stato ogni anno! 
Nonostante ciò, sono state 
utilizzate 
le pensioni come un Bancomat 
ritardando all’inverosimile l’età pensionabile e 
provocando perciò la perdita di 800mila nuovi posti di lavoro per i 
giovani; 
si sono escluse 
le pensioni medio-basse dal recupero dell'inflazione, 
e si è prodotto il 
dramma sociale degli esodati rimasti senza pensione, senza stipendio e 
senza 
un ammortizzatore sociale. IL MINISTRO FORNERO ERA 
A CONOSCENZA DA TEMPO CHE 
FOSSERO 390.200 GLI ESODATI, AVENDO RICEVUTO LA RELAZIONE DALL’INPS, MA HA 
TACIUTO CONDANNANDOLI ALLA FAME. PER QUESTO IL MINISTRO FORNERO IN UN PAESE 
NORMALE DOVREBBE DIMETTERSI DOPO 
AVER CHIESTO SCUSA. Se la Ministra dei licenziamenti Fornero fosse una 
lavoratrice statale rischierebbe il 
licenziamento 
per l'articolo 28 
comma 
1 lettera d): “Il dipendente deve, nei 
rapporti 
con il cittadino, fornire tutte le informazioni di cui abbia titolo, nel 
rispetto delle disposizioni in materia di trasparenza e 
accesso 
all'attività amministrativa”. 
Anche 
su questa vicenda va registrato l’ipocrita comportamento dei vertici del PD che 
recita 2 parti in commedia: da una parte critica la Fornero, ma dall'altra non 
raccoglie le firme per la mozione 
di 
sfiducia presentata dall’Italia dei valori, né forse la 
voterà.
CONCLUSIONE.
Il governo Monti aveva 
un 
compito ben 
preciso: risollevare le sorti economiche del Paese. Tutti i dati economici 
indicano che non solo ha fallito questo risultato, ma con le sue politiche 
ragionieristiche, recessive e di rigore ha persino aggravato la crisi economica. 
Se per tenere in vita il governo i lavoratori devono spezzarsi la schiena e 
rinunciare ai propri diritti, allora meglio che Monti se ne vada a casa al più 
presto, prima di combinare altri danni. 
Al 
Paese serve un governo legittimato da un voto politico, che rilanci l'economia e 
che abbia un progetto di società in grado di fare il bene del Paese. 
Non 
servono governanti che più che pensare al bene dell’Italia, pensano ad 
utilizzare la vetrina degli incontri internazionali per i propri scopi di futura 
carriera personale.
Il 
vento del cambiamento è arrivato anche in Italia e ci permetterà presto di 
imboccare altre strade per la soluzione della crisi perché ormai i cittadini si 
sono accorti che i conservatori, gli oscurantisti e i reazionari - anche quelli 
mascherati da “tecnici” - sono solo un grande fantoccio di cartapesta costretto 
a farsi da parte quando avanzano le forze socialiste e progressiste del 
lavoro!
- 
Dobbiamo chiedere conto alla Cgil del fatto che si proclamino 16 ore di 
sciopero per farne solo la metà senza indire lo sciopero generale, lasciando i 
lavoratori indifesi e senza una proposta alternativa su cui costruire un 
percorso di lotta.
- 
Dobbiamo seguire l’esempio degli operai della Piaggio di Pontedera che sono 
andati sotto la sede del PD a sturar le orecchie dei suoi dirigenti, ormai 
sempre più sorde alle istanze dei lavoratori.
- 
Dobbiamo organizzare il presidio permanente dei Palazzi di governo, per a far 
sentire potente la voce di chi si oppone alla riforma Fornero e dice BASTA al 
governo Monti-Bersani-Berlusconi-Casini.
Diceva Albert Einstein: "Il mondo è quel disastro che vedete, non 
tanto per i guai combinati dai mascalzoni, ma per l'inerzia dei giusti che se ne 
accorgono e stanno lì a guardare." 
Franco Pinerolo.
 
 
 
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