Il film di giugno...





"Il ragazzo con la bicicletta"
di Luc e Jean-Pierre Dardenne.

Recensione a cura di Domenico CENA.

Giunti al loro sesto film, i fratelli Dardenne continuano con rigorosa coerenza la loro indagine sui rapporti tra figli e genitori. Una ricerca che va al di là, però, della semplice dimensione pedagogica e culturale, per mettere sotto accusa una società che, proponendo modelli basati sull’autoaffermazione e sul benessere individuale, produce infelicità ed emarginazione. Ma quello dei registi belgi non è uno sguardo rigidamente moralistico, né freddamente razionale e inquisitorio. I due fratelli sanno raccontare ogni volta una storia originale, coinvolgente e piena di fisicità.
Protagonista del nuovo film è Cyril, un ragazzino che insegue con furore il padre che, per rifarsi una vita, l’ha abbandonato in un orfanotrofio vendendogli anche la bicicletta, l’unico mezzo che gli permetteva di esplorare liberamente il mondo. Il recupero della bici avviene in seguito all’l’incontro con Samantha, di professione parrucchiera che, per motivi in qualche modo incomprensibili, decide di prendersi cura di lui, al punto da rinunciare al fidanzato che, esasperato, la costringe a scegliere tra lui e il ragazzo. Samantha è sicuramente il personaggio più nuovo nell’universo filmico dei Dardenne, e si ricollega direttamente alla protagonista del film precedente: “Il matrimonio di Lorna”.
Nel finale di quel film, Lorna si trova sola in un bosco, simile a un animale selvatico in fuga, priva di tutto, ma pronta a difendere con ogni mezzo il figlio che probabilmente porta in grembo, che rappresenta per lei una imprevista scelta di vita.
 Qui Samantha sembra invece una donna serena e pienamente integrata e il suo gesto di madre matura, accogliente e protettiva rappresenta un deciso passo avanti rispetto alla figura ancora indefinita e irrisolta di Lorna. In un mondo di personaggi, soprattutto maschili, fragili, inadeguati o decisamente violenti e criminali, quello di Samantha incarna una possibilità inattesa di rigenerazione e di riscatto, una maternità pienamente responsabile, anche se, o proprio perché, non biologica.
Il film è stato paragonato ai “400 colpi” di Truffault, naturalmente per segnarne la distanza e i limiti rispetto all’opera del maestro, e, sul versante letterario, alle opere di Dickens e persino al Pinocchio collodiano, con la figura di Samantha vista come la fatina che salva il povero Pinocchio e lo riconduce sulla retta via. Niente di più travisante, probabilmente.
Se proprio si deve trovare un legame, lo si deve forse cercare in alcuni film recenti, come “Hereafter” di Clint Eastwood (dove ritroviamo come protagonista Cécile de France), “Il Grinta” dei fratelli Coen, o il bel film di Debra Granik “Un gelido Inverno”. Anche qui troviamo dei figli alla ricerca di figure assenti o perdute, che riescono a recuperare una dimensione personale grazie alla propria ostinazione e con l’aiuto di estranei. Si tratta probabilmente del senso di colpa che angoscia l’attuale generazione adulta, che si rende conto del proprio fallimento e dell’incapacità di proporre dei validi modelli alla generazione che sta crescendo. Il legame generazionale si è spezzato e l’unica possibilità di immaginare un futuro sta nella forza vitale dei nuovi arrivati e nella capacità di inventare nuovi rapporti e inedite relazioni sociali.

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