Che cosa sta succedendo intorno al referendum sul nucleare?
Martedì, improvvisamente, il Governo ha deciso di presentare un emendamento,
nel decreto legislativo in discussione al Senato, per trasformare la
moratoria proposta circa un mese fa in abrogazione di tutti i punti previsti
dal quesito referendario. L'emendamento è sostanzialmente una fotocopia del
quesito con due varianti. C'è una premessa nella quale si sostiene che in
nucleare, tenendo anche conto delle decisioni assunte dall'Unione Europea,
"non si procede alla definizione e attuazione del programma di
localizzazione, realizzazione ed esercizio" di impianti nucleari. C'è una
conclusione in cui si lascia aperta la porta al rientro nel nucleare, che
comunque non viene mai citato, in previsione dell'adozione di una "strategia
energetica nazionale" da attuare entro dodici mesi. Il nucleare comunque è
rinviato sine die.
Perché questa accelerazione?
Le ragioni possono essere varie e tutte concatenate. Si vuole diffondere un
messaggio rassicurante (cosa che evidentemente la moratoria non era riuscita
a fare) che il nucleare non è più un problema. La maggioranza ha bisogno
che si diffonda questa idea perché la contrarietà al nucleare non pesi
nelle prossime amministrative e per depotenziare la partecipazione al voto
del 12 e 13 giugno, per evitare che il nucleare venga bocciato
esplicitamente dai cittadini e per evitare che il referendum sul nucleare
trascini il quorum anche per gli altri referendum, soprattutto per quello
sul legittimo impedimento.
Da questa situazione dobbiamo trarre una prima conclusione politica: il
Governo ha avuto paura della forza del movimento antinucleare. Una forza
storica, che si è venuta rivitalizzando negli ultimi mesi (paradossalmente
questo è stato l'effetto anche del discusso spot dei nuclearisti, quello
della partita a scacchi), da quando si è ricominciato a parlare del nucleare
con più insistenza. Il disastro di Fukushima ha accentuato il processo e
consolidato la trasbordante maggioranza antinucleare. Il Governo ha
evidentemente valutato che il nucleare avrebbe pesato negativamente sulle
amministrative e che il superamento del quorum al referendum sarebbe stato
molto probabile.
Noi, come Legambiente e come movimento ambientalista, dobbiamo riconoscere
ed incassare la marcia indietro del Governo come una prima nostra vittoria.
Ma dobbiamo anche sapere che non è la vittoria definitiva. Perché, rispetto
all'esito positivo del referendum, la differenza messa in campo da questa
procedura abrogativa da parte del Governo consiste nel fatto che in linea
teorica nei prossimi anni si potrebbe tornare a legiferare sul nucleare
(come dichiarato in premessa e nel comma conclusivo), mentre il referendum
sospende questa possibilità per 5 anni.
Inoltre non possiamo dare per acquisita la cancellazione del referendum. Su
questa strada ci sono almeno tre scalini che il Governo (e la sua intenzione
di cancellare il referendum sul nucleare) dovrà superare. L'approvazione
alla Camera dell'emendamento, facilmente approvato al Senato. Alla Camera
l'opposizione continuerà a votare contro (è presumibile) e la fragile
maggioranza potrebbe sfaldarsi (basterebbero una decina di deputati della
maggioranza assenti) per motivi inerenti o meno al nucleare. Lo stesso vale
per la votazione su tutto il decreto. Un terzo scalino sarà rappresentato
dalla Corte di Cassazione che sarà chiamata a decidere se le abrogazioni
approvate dal Parlamento sono sufficienti a cancellare il referendum. Non
vogliamo inoltrarci in congetture troppo tecniche, però non è irrilevante
che la possibilità dichiarata in premessa e nell'ultimo comma di rientrare
nel nucleare, sono in aperta contraddizione con lo spirito del referendum
che impone che per i cinque anni successivi al pronunciamento popolare non
si possa tornare a legiferare sullo stesso argomento.
Stante tutto ciò non possiamo dare per scontato che il Referendum sia già
stato cancellato. Anche e soprattutto perché, per quanto sia altamente
improbabile, nel caso in cui il referendum si dovesse fare, l'annuncio del
governo avrebbe creato un danno preoccupante nel diffondere l'idea che il
referendum è inutile perché tanto il nucleare non si fa più! E noi ci
troveremmo con un referendum senza quorum.
Allora cosa facciamo?
Noi dobbiamo e possiamo fare una sola cosa: continuare a fare la campagna
referendaria per evitare che all'effetto annuncio, provocato oggi
dall'emendamento approvato, non segua poi un'effettiva e completa
abrogazione del nucleare.
La valutazione condivisa con le altre associazioni del Comitato nazionale
"Vota sì per fermare il nucleare" è che noi dobbiamo continuare la campagna
referendaria e, se possibile, centuplicare gli sforzi per far sapere che c'è
un referendum e che questo è l'unico vero strumento per togliere di mezzo il
nucleare senza ambiguità.
Nelle prossime settimane avremo modo di valutare meglio come comportarci.
Per ora dobbiamo continuare a costruire sul territorio i comitati "vota sì"
e mantenere tutte le iniziative che abbiamo messo in cantiere, a partire da
quelle per l'anniversario di Chernobyl nella prossima settimana. Il Comitato
nazionale, per suo conto, sta proseguendo nella produzione delle bandiere,
dei volantini e dei manifesti, per fare concretamente sul territorio la
campagna referendaria.
Inoltre non dobbiamo dimenticarci che c'è sul tavolo anche il referendum
sull'acqua e che ancora il lavoro di informazione sui referendum (acqua e
nucleare) deve comunque lottare per raggiungere il quorum. Un obiettivo oggi
ancora più necessario.
Non ci rimane che rimboccarci led maniche e darci da fare più di prima.
Un caro saluto
Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale LEGAMBIENTE.
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