LA FILOSOFIA DEL NUOVO PIANO SANITARIO: SEPARARE LE ASO DALLE ASL, IL CITTADINO DIVENTA CLIENTE, LA MALATTIA UN MANUFATTO…

Secondo le dichiarazioni del Presidente Cota il nuovo piano sanitario doveva essere pronto entro dicembre. A oggi se ne conoscono alcune indiscrezioni riportate dagli organi di informazione e dalle dichiarazioni della maggioranza e si legge, non sui siti ufficiali, una prefigurazione con più vie di uscita, forse curata da un consulente dell’assessore. Ciò che più appassiona è il confronto sul perimetro delle nuove aziende sanitarie, ma a mio parere dovrebbe preoccupare ancor di più la filosofia che ispira la volontà di separare le Aso dalle Asl e l’idea con la quale si definisce il rapporto tra la responsabilità pubblica e il diritto alla salute.
Alcune frasi sono significative: il cittadino, che da tutti viene sempre messo al centro almeno a parole, diventa cliente del servizio sanitario regionale e, come tale, più che raccontarne i bisogni di salute e le volontà di soddisfarli si parla della “sue propensione alla mobilità”. Non è chiaro se con ciò si intenda assumere la disponibilità a una mobilità verso i presidi più specializzati, con ciò legittimando scelte di riduzione o riconversione di presidi ospedalieri (ricordo le reiterare dichiarazioni del Presidente Cota, scandalizzato della scarsa distanza tra ospedale e ospedale: “Solo 12 km!”, esclamava a “Porta a porta”), oppure si intenda parlare di libera circolazione in libero mercato, quindi riferirsi alla possibile scelta verso erogatori privati.

Un po’ inquietante poi, ma sarà sicuramente un refuso sfuggito in questa bozza segretissima, è il modo con il quale si fa riferimento alla malattia, cito testualmente dalla pag. 39: “L’efficienza dell’ospedale non deve fare arrivare al medico di medicina generale e sul territorio dei manufatti (!) imperfetti”. Un altro elemento di preoccupazione riguarda il modo con il quale si cerca di affrontare una garanzia sacrosanta: la continuità assistenziale tra ospedale e territorio, in particolare per le cronicità e la non autosufficienza. Si costruisce a tal fine una complessa architettura professionale chiamata direzione della continuità assistenziale che dovrebbe superare “l’attuale diffusa variabilità e artigianalità fondata sull’iniziativa individuale e sulle relazioni interpersonali”. Se fossi un operatore delle attuali Coca (Centrali Operative di Continuità Assistenziale) mi sentirei almeno ferita della scarsa valutazione, specialmente in un momento quale l’attuale in cui non le responsabilità degli operatori, ma i tagli dei bilanci espongono questi servizi all’impossibilità di svolgere il proprio compito e al legittimo risentimento degli utenti. Forse si pensa di aggirare il problema con una captatio benevolentiae, istituendo nella futura direzione tanti ruoli gerarchici e posizioni organizzative.

La cultura di separazione tra Asl e Aso si fonda sul principio di distinguere tra committente (le Asl, attraverso i distretti) e produttori (le Aso nelle loro ulteriori gerarchie di ospedali di riferimento, di raccordo e di contiguità). L’Asl stipulerà così dei patti per la salute che, anziché evocare una condivisa programmazione sui profili di salute della popolazione e sulla organizzazione dei servizi e delle prestazioni, sono da testo “accordi di fornitura” (pay for performance) che il territorio sottoscriverà indifferentemente    con Aso, aziende ospedaliere universitarie, privato accreditato e presidi ex art. 43.
Questa previsione è speculare al principio della cosiddetta libera scelta da parte del cittadino e alla sua propensione  alla mobilità. E’ possibile che la prospettiva di trasformarsi in azienda ospedaliera abbia stimolato l’orgoglio di qualche professionista dei presidi ospedalieri; non è chiaro se sia stato loro spiegato che le prospettive di crescita delle specialità e della programmazione delle attività dipenderanno dalla capacità di essere attraenti nei confronti dell’acquirente, cioè delle Asl di riferimento. Non è chiaro nemmeno che l’indifferenziato patto con tutti gli erogatori non rispetta il principio della sanità convenzionata quale complementare alla primaria responsabilità pubblica, bensì si ispira ad una concorrenza sulla quale, mi auguro, non imperi il criterio dei tipici contratti di fornitura, ovvero il minor prezzo.
Eleonora ARTESIO.

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