Esiste un bioetanolo sostenibile? Il caso dell'impianto proposto a Crescentino...

Il primo impianto al mondo di grossa taglia per la produzione di bioetanolo “di seconda generazione” potrebbe nascere in Piemonte e precisamente nel Vercellese, a Crescentino, sull’area dell’ex Teksid.
Il Gruppo Mossi e Ghisolfi – multinazionale e secondo gruppo chimico italiano, specializzata in produzione di PET  -   ha infatti indicato questa come area d’interesse dopo che ha dovuto ritirare il progetto per l’impianto di produzione di bioetanolo “di prima generazione” che avrebbe dovuto sorgere a Rivalta Scrivia (Tortona - AL) dove ha sede la M&G.
Ma cosa s’intende per prima e seconda generazione di bioetanolo?
Il bioetanolo è un alcool che si può ottenere a partire da biomasse vegetali ricche di amidi o di zuccheri quali mais, frumento, bietola, canna da zucchero, (prima generazione),  oppure da  biomasse di tipo cellulosico, quali paglie e  legno (seconda generazione).
Per la seconda generazione non si è ancora arrivati alla produzione, ma si è nella fase finale della ricerca. La prima generazione invece ha già avuto modo di provocare gravi danni alla sicurezza alimentare di molte popolazioni entrando in competizione con l’utilizzo alimentare di questi vegetali quali il mais, e  facendone alzare il costo, rendendoli ancor più irraggiungibili per le popolazioni povere.
La seconda generazione non sarà invece in competizione con il settore alimentare, o, meglio, non lo sarà in modo diretto, perché, se si utilizzeranno coltivazioni apposite, si sottrarrà comunque territorio all’agricoltura alimentare.
Sebbene l’utilizzo di biocarburanti sia una delle strategie indicate dal protocollo di Kyoto per limitare la produzione di CO2 derivante dai combustibili fossili, e per questo la legge prevede che si dovrà arrivare ad una percentuale del 10% di bioetanolo nelle benzine entro il 2020, è la stessa Unione Europea, con la Direttiva 2009/28/CE, a fissare i criteri di sostenibilità per la loro produzione, prescrivendo una attenta valutazione del bilancio energetico complessivo della loro produzione, escludendo forme di coltivazione che impattano sulla biodiversità, ed indicando come migliore prospettiva quella dell’utilizzo delle paglie di cereali.
A Rivalta Scrivia, la società M&G ha rinunciato al progetto perché erano state rilevate contraddizioni di ordine etico (l’utilizzo di terreno e di vegetali  per produrre carburanti anziché per la produzione di cibo), economico (il bilancio non favorevole tra l’energia consumata per la loro produzione e quella prodotta), ambientale (dall’utilizzo di suolo per le coltivazioni all’inquinamento dell’aria provocato dagli impianti di produzione),  ma a seguito di questo si era impegnata in un progetto di ricerca e sperimentazione (finanziato anche dalla Regione Piemonte) sulla seconda generazione di bioetanolo.
Ora la ricerca ha dato dei risultati, come lo stesso ingegner Guido Ghisolfi ha esposto durante una serata pubblica ad Alessandria lo scorso 12 novembre, proponendo un impianto per la produzione di 40.000 tonnellate/anno di bioetanolo di seconda generazione, destinato ad essere espanso in futuro fino a 200.000.
Dall’impianto di Rivalta Scrivia a quello proposto per Crescentino è stato fatto un notevole passo avanti, ammettendo di fatto l’esistenza di tutti i problemi sollevati dagli ambientalisti (Legambiente, Pro Natura e Comitato locale): ora non si propone più di utilizzare il mais, ma biomasse non alimentari, e si pensa ad una coltivazione apposita di canna (Arundo donax, vedi foto) di cui è già avviata la sperimentazione. Occorre però considerare che, per ottenere la produzione indicata, bisognerebbe destinare decine di milioni di metri quadrati di terreno alla coltivazione della canna, sottraendoli alle altre produzioni agricole alimentari.
Ma ha senso fare questo quando, ogni anno, proprio nel Vercellese, si hanno a disposizione tonnellate e tonnellate di cosiddetti “residui agricoli” quali la paglia del riso, quella del grano  o gli stocchi del mais, per i quali spuntano in continuazione proposte di impianti di combustione?
La risposta degli ambientalisti a Ghisolfi ad Alessandria è stata  proprio questa: l’unica via verso una produzione relativamente sostenibile di bioetanolo passa per l’utilizzo dei soli residui agricoli, di cui il Piemonte è ricchissimo, e non certo per la coltivazione a tappeto della canna.
Rossana Vallino.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Concordo con Rossana sui principi che mirano all'uso degli scarti agricoli per l'estrazione di bioetanolo. Tuttavia penso che ci voglia almeno un certo numero di anni di ricerca applicata, nei quali occorra lavorare per ridurre progressivamente i costi di produzione in relazione dei costi del petrolio che oggi purtroppo sono ancora troppo competitivi. La scommessa sta proprio lì, quindi se la ricerca italiana si giocherà bene le carte anche con la coltivazione di "canna" molto produttiva nella cessione di etanolo, fra qualche anno con il petrolio molto più caro, in Italia ci saranno imprese capaci di trasformare anche gli scarti dell'agricoltura, pur meno preziosi come cessione di etanolo, ma con un bilancio ambientale ed ecomonico positivo.
don bairo