UNA STRAGE DI STATO… E NON SOLO

Il cielo della Politica è d' improvviso sceso sulla terra. Ha lasciato da parte, per un breve istante, le grandi questioni e ha dedicato uno sguardo compassionevole al mondo delle persone, quelle fatte di sangue, carne, dolore.
Ha distolto, insomma, la sua attenzione dalla riforma elettorale (sì, un' altra ancora). L' ha distolta dalla profonda riflessione sul destinatario del tesoretto; se dovrà essere il solito, quello che ne ha avuti per le ristrutturazioni aziendali. Quello che li ha avuti per risolvere le crisi di aziende che non era stato in grado di gestire bene, attuando politiche industriali sbagliate, con la tranquillità di chi sapeva che a pagare per gli sbagli non sarebbero stati loro ma i lavoratori che, invece, come sempre avrebbero soltanto perso il loro posto di lavoro. Un esempio ce l' abbiamo vicino a casa: la Comital di Volpiano, capitata per sua sfortuna nelle mani di quel brillante imprenditore che risponde al nome di Debenedetti. L' altra opzione sarebbe di darne una parte ai lavoratori, quelli a cui in questi 14 anni non è stato dato niente; quelli che hanno visto crollare il proprio reddito e il cui salario è rimasto praticamente bloccato in questi anni; quelli che con il loro salario riescono ad arrivare alla terza settimana del mese, la quarta se la devono inventare. L' ipotesi ha scatenato le ire, e le minacce, degli altri, delle imprese ( in altri tempi si sarebbe detto il capitale): “ non se ne parla, vogliamo tutto noi”.
Altro argomento accantonato, e che sta molto a cuore alla Politica, è quello della costruzione dell' Europa, del trattato europeo. Quell' Europa che, per bocca della sua Banca Centrale, afferma che la priorità per l' Italia sarà il contenimento dei salari, e lo dice alla vigilia della trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici.Ma che bizzarra coincidenza!
Scendendo sulla terra la Politica ha scoperto che gli operai muoiono lavorando, proprio come i nostri soldati in Afghanistan. E muoiono in sei in tre giorni. E la carne, il sangue, sono quelli di un lavoratore del porto di Genova (un camallo) schiacciato da una balla di cellulosa pesante due tonnellate. Il dolore è quello della sua famiglia, dei suoi amici, dei suoi compagni di lavoro. E della loro rabbia, quella che li fa fermare per 36 ore e bloccare Sampierdarena, bruciando copertoni.
Un presidente del consiglio li chiama martiri questi morti; forse sarebbe più esatto definire assassinii queste morti. Almeno non vengono più chiamate disgrazie.
Un qualsiasi capo dello stato dichiara, indignato, che è ora di agire. Se ne è accorto anche lui.
Allora bisogna un po' capire come si intende agire. Intanto, quando si parla di applicare i controlli da parte di ispettori, bisognerebbe attrezzarsi affinchè gli ispettori esistano in numero sufficiente. Se la sicurezza sul lavoro viene intesa come reale priorità, si dovrebbero spendere il denaro sufficiente all' assunzione di personale; personale che dovrebbe essere in numero tale da consentire controlli capillari e continuativi. Non ci si dovrebbe fermare davanti a possibili sforamenti della spesa pubblica e, nel caso che gli sforamenti ci siano, tagliare da altre parti. Ad esempio sulle spese militari. Decidere se è più importante la vita di un lavoratore, oppure avere qualche porta-elicotteri o qualche aereo da combattimento in più da impiegare nelle nostre sempre più frequenti “ missioni di pace”.
Ci si dovrebbe, poi, chiedere se gli incidenti e le morti da lavoro sono aumentati e di quanto, e da quando, e perchè. Si potrebbe fare un raffronto, ad esempio, tra la situazione nel porto di Genova esistente prima della liberalizzazione dellla movimentazione merci e quella attuale. Quella che a portato il porto genovese agli attuali livelli di eccellenza per quanto riguarda tonnellaggi e fatturato da un lato e dall' altro ad un aumento esponenziale dei ritmi di lavoro, all' introduzione di turni massacranti, alla diminuzione della sicurezza perchè costa troppo.
Anche qui si tratterebbe di decidere se il successo delle imprese e i dividendi per gli azionisti rappresentano la priorità, di fronte alla quale la morte di chi costruisce la ricchezza di queste aziende può essere considerata un prezzo accettabile. Forse la questione è posta in modo un po' brutale, però ci sono occasioni in cui le scelte vanno fatte e non si possono eludere con dei comodi, consolatori e sottili distinguo.
Bisogna essere coscienti che quando si parla di entrare nel futuro, diventare un Paese normale, privatizzare e liberalizzare ovunque e comunque, di permettere alle imprese di avere mano libera nella gestione della forza di lavoro per realizzare sempre maggiori profitti, di questo si parla: di carne e sangue di persone reali finite schiacciate sotto una balla di cellulosa da due tonnellate, persone che non ci tengono per niente a diventare martiri.
Su questo si dovrà scegliere. E sarà bene farlo molto in fretta per due ragioni. Innanzitutto perchè le morti continuano, mentre si sta riflettendo sul da farsi.
In secondo luogo, perchè la permanenza sulla terra del cielo della Politica finirà presto e questo ceto politico completamento autocentrato, avvolto su sé stesso, tornerà con piacere ad interessarsi delle fondamentali questioni di cui si occupa abitualmente.

Mario Cena, Brandizzo.

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